Non c’è lingua geniale

Come mamma di due bambini bilingui non mi sono mai chiesta se quel “ti voglio bene, mamma” o “I love you, mum” avesse per loro un carico sentimentale diverso. Non ho mai nemmeno una volta pensato che mi possano volere più o meno bene, a seconda della lingua che usano per esprimere il loro amore. 

Recentemente, invece ho voluto testare un altro uso delle lingue dei miei figli… e ho chiesto loro se l’italiano fosse per loro una lingua più melodica, dolce e sonora dell’inglese; mi hanno risposto di no. Senza esitazione. E dato che era una bella giornata ho domandato di che colore fosse il cielo: azzurro, blue. Eppure hanno guardato con gli stessi occhi. Hanno visto lo stesso colore…

Perché racconto tutto questo e mi sono presa la libertà di fare test simili ai miei figli? Perché ho appena finito di leggere “La razza e la lingua” di Andrea Moro (pubblicati da La Nave di Teseo), un libro nel quale il Professore di Linguistica Generale presso l’Istituto Universitario Superiore IUSS di Pavia mette in discussione tutta, ma proprio tutta, la tradizione filosofica in cui sono cresciuta e secondo la quale il modo in cui parliamo influenza la nostra visione del mondo e ci sono lingue non solo più piacevoli all’ascolto di altre ma anche lingue che colgono in modo più profondo, intimo e preciso la realtà. 

È stata un’epifania, quella che è seguita la lettura del saggio.  Senza voler banalizzare nulla, in queste righe proverò a ripercorrerne un paio di punti… 

Anzitutto, la questione della rappresentazione del mondo. Ci sono lingue che hanno un vocabolario molto più ampio rispetto alle altre. E è lecito chiedersi se le persone che le parlano abbiano una percezione più approfondita della realtà circostante. O intrinseca.

Prendiamo il caso dei colori. Come ricorda Andrea Moro: la cornea di tutte le persone è la stessa; italiani e inglesi, quindi, colgono, biologicamente, le stesse sfumature di colore (le variazioni esistono ma a livello di individui, non di gruppi, razze o etnie). Penso ai miei figli, che hanno chiamato il cielo usando azzurro e blue. Blue che in italiano è tradotto come blu… Ma è una questione di traduzione, appunto. Perché messi fronte a una scatola di pastelli e chiesto loro (in inglese) di scegliere quello che più rappresentava il colore del cielo, i miei figli hanno preso lo stesso pastello. Che corrisponde all’azzurro in italiano e che in inglese non ha equivalente linguistico.

Come si può affermare che l’assenza di certe parole correli con un’incapacità della lingua stessa di esprimere concetti? Sarebbe un po’ presuntuoso (e rischioso) pensare che una lingua rappresenti la Realtà (il mondo tutto) meglio delle altre. Anche perché: cos’è la Realtà?

Nella lingua inglese non c’è una parola specifica per azzurro ma ce ne sono molte per definire la pioggia. Ne sono state contate almeno 50 (sprinkle, drizzle, mizzle, Scotch mist, shower, rainstorm, cloudburst, torrent, downpour, deluge, squall, thunderstorm, ecc). Dunque, tutto ciò, se ci porta da qualche parte, ci spinge verso l’ipotesi che alcune lingue abbiano una rappresentazione lessicale più (o molto) completa di un aspetto del mondo (in questo caso, atmosferico) e che “forse” alcune lingue siano più sensibili verso certi fenomeni e relazioni della realtà circostante rispetto ad altri, anche per motivi storici o geografici. Il fatto che un inglese non abbia un termine per azzurro ma tanti per pioggia non stupisce nemmeno troppo, se si pensa che il cielo in Inghilterra è raramente sereno ma pieno di nuvole. Tuttavia ciò non implica che i britannici non possano esprimere con la loro lingua sfumature cromatiche, ad esempio attraverso perifrasi come turquoise blue, powder blue, sky blue, electric blue.

Anche sulla questione della bellezza di alcune lingue rispetto a altre, come ricorda Moro, l’equivoco nasce dal fatto che una lunga tradizione ci ha insegnato, ad esempio, che il tedesco è la lingua della filosofia e l’italiano quello dell’opera, e che dire Mutter o mum è meno melodico che mamma o mamà. Ma noi ci innamoriamo dei suoni che ci piacciono e li consideriamo migliori, familiari. E tutto ciò è ben lontano dal concludere che esista una lingua più bella, e magari per di più ariana, quindi superiore alle altre. I miei figli credono che daddy (papà, in inglese) sia tra i suoni più belli del mondo…

Insomma, la lettura dei lavori di Andrea Moro e dei suoi colleghi linguisti (a partire da Naom Chomsky) mi ha convinta: non c’è una lingua geniale. Nemmeno il greco. Che ho tanto amato studiare.

Qualche esempio della viarietà di “blue”….
https://www.color-meanings.com/shades-of-blue-color-names-html-hex-rgb-codes/

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Questo blog nasce dall’incontro di tre persone emigrate volontariamente in età adulta dall’Italia in Svizzera e che in questo Paese hanno realizzato esperienze diverse in vari ambiti lavorativi e culturali. 

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