Il Belgio? Un paese del Bengòdi per gli emigrati dall’Italia, se non fosse che i pensieri di molti di loro si concentrano su come e quando tornare in patria. E tornano i bisogni di legami con i connazionali, tipici dei nostri nonni emigrati nel Dopoguerra. Così cambia la migrazione italiana?
Vogliono corsi di italiano per i propri figli. Corsi che insegnino loro a scrivere, a leggere, a contare … in italiano. Chiedono docenti qualificati e scuole per il fine settimana. Non hanno problemi economici e sono disposti a pagare quanto serve. Perché loro, che hanno studiato in Italia, sono espatriati per opportunità lavorative e hanno messo su famiglia all’estero, “a casa” ci vogliono tornare prima o poi – e quel poi, per essere chiari, è al più tardi quando i figli inizieranno la scuola dell’obbligo. Loro sono quei migranti, trentenni o poco più, spesso con lauree e dottorati, che stanno costituendo un nuovo flusso migratorio che parte per “non restare” bensì con la chiara aspettativa di rientrare.
Questo emerge da uno studio condotto in Belgio dalle associazioni Filef Nuova Migrazione – Belgio, CASI-UO e ITACA/INCA, grazie al finanziamento del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale (MAECI) e dal Com.IT.ES di Bruxelles, Brabante e Fiandre. “Antenor – Moving families”, il titolo del progetto, riguarda il Belgio ma non ci sono ragioni per pensare che i risultati non siano comuni e generalizzabili a diversi paesi in Europa.
Negli ultimi anni, come i Rapporti sugli italiani nel mondo hanno messo in luce, sono sempre di più i connazionali che scelgono di trasferirsi all’estero per motivi di lavoro, studio o per cercare nuove opportunità. Arrivano con le proprie famiglie, oppure soli e poi creano nuclei familiari nel nuovo Paese. Si tratta di una migrazione che raramente frequenta il mondo dell’associazionismo italiano, ma che ciò nonostante è confrontata con sfide legate alla gestione della quotidianità (che un tempo patronati e associazioni aiutavano a risolvere).
Questi migranti hanno spesso un problema di appartenenza, espresso dal bisogno di “fare comunità” con altri italiani. Lo dicono chiaramente nelle interviste condotte per il progetto “Antenor”: non stanno affatto male nel Paese che li ospita, ma ambiscono più networking con altri connazionali e, sopra ogni altra cosa, hanno in cantiere il progetto di tornare con i loro figli in Italia. E per questo vogliono che anche nella loro quotidianità in Belgio l’italiano sia tutelato. Lo chiedono alle istituzioni. E non c’entra solo il desiderio di mantenere viva la lingua italiana per il piacere di rimanere legati alle proprie radici. Il fatto è che la conoscenza della lingua italiana è necessaria, funzionale “al rientro”.
Sono tanti i genitori che “sanno” di non voler rimanere in Belgio. E che pianificano di crescere i loro figli in Italia con l’avvicinarsi della scadenza per l’iscrizione alla scuola dell’obbligo.
Leggendo i risultati delle circa ottanta interviste condotte con genitori italiani in Belgio, ci troviamo insomma di fronte a una migrazione piuttosto bifronte e polarizzata. Da un lato persone impiegate nel settore della ristorazione o del cosiddetto secondario in particolare: a loro manca l’Italia, il sole e la “famiglia”. Ma tornarci non è un’opzione concreta, il lavoro manca e per i loro figli le opportunità sono in Belgio. Dall’altro lato, ci sono nuclei familiari di giovani occupati ad esempio nel settore della ricerca (accademica o industriale), artisti e curatori d’arte, docenti, tanto per fare qualche esempio concreto. A loro l’Italia manca e in Italia vorrebbero tornare. Ed è nelle Fiandre e nel Brabante Fiammingo in particolare (dove la comunità italiana è meno numerosa e strutturata) che ci si lamenta di più per l’assenza di attività specifiche dedicate alla comunità italiana. In questo contesto, le richieste per corsi di lingua italiana per bambini in età pre-scolare e della scuola elementare pullulano.
Insomma, il Belgio (ma forse lo stesso si potrebbe dire della Germania o di altri paesi che attraggono nuovi flussi migratori) sembrerebbe quasi il Paese del Bengòdi, se non fosse che tanta ricchezza per molti italiani è passeggera. L’obiettivo è riportare i figli in Italia – ma l’Italia saprà riaccoglierli?