Oltre la malattia: donne e cancro

I dati. Bisogna guardare i dati. Nella prevenzione, diagnosi e cura del cancro la strada che abbiamo davanti è ancora lunga, anche se con un po’ di ottimismo, si potrebbe dire che la strada, almeno quella, c’è. Solo che per le donne questa lunga strada è “più” ripida. E ha a che fare con l’eterna questione delle disuguaglianze di genere.

Sono 12 milioni le donne in Europa che stanno attualmente convivendo con il cancro; 1,2 milioni coloro che ogni anno vengono diagnosticate con questa malattia e quasi 600.000 chi non ce la fa – secondo l’European Cancer information system. Con grandi, grandissime, differenze tra i paesi e all’interno di questi.

Non basta un articolo per raccontare di queste disuguaglianze, ma si possono fare alcuni esempi. Prendiamo il caso del vaccino contro il virus HPV – dal momento che è clinicamente dimostrato che vaccinarsi serve a prevenire oltre il 90 per cento dei tumori associati all’HPV. In molti dei paesi nordici, ma anche in Portogallo e Spagna nonchè in Ungheria (strano!), la vaccinazione raggiunge l’80% o più delle giovani. In Italia la copertura si ferma al 61%, in Francia è al 42%.

Fonte: https://www.europeancancer.org/pulse-map/countries

Nel caso dello screening mammografico, le differenze tra i paesi risultano ugualmente prominenti, con Danimarca, Finlandia, Portogallo e Svezia che arrivano a garantire uno screening regolare all’80% o più delle donne, dato che scende sotto il 60% in 21 paesi europei – e in 13 di questi non si arriva a raggiungere nemmeno la metà delle donne (in Romania, solo il 9% della popolazione femminile sopra i 40 anni si sottopone a screening mammografico regolare, ma se guardiamo nel “blocco occidentale”, anche per Francia e Germania il dato rimane sotto il 50%).

Fonte: https://www.europeancancer.org/pulse-map/countries

Le disuguaglienze colpiscono tutti e tutte…

Facciamo un passo indietro. Le differenze tra i paesi per quanto riguarda la lotta al cancro toccano tanto gli uomini quanto le donne. Riguardano non solo l’accesso alle cure ma anche a diagnosi adeguate. Un esempio: in Islanda ci sono 4,64 macchinari ogni 100mila abitanti per la tomografia computerizzata, l’esame diagnostico per immagini che ha rivoluzionato il campo della medicina; il Belgio di queste tecnologie ne ha 2,40 per 100mila abitanti, i Paesi Bassi 1,47 e l’Ungheria nemmeno 0,8. Le differenze si estendono poi alla spesa sanitaria, come nel caso della cura del cancro, con la Svizzera che spende 352mila euro (pro capite), la Germania 287mila, l’Italia poco più di 170mila, la Spagna 123mila e la Romania 70mila, per dare qualche cifra esemplificativa. Ci sono paesi nei quali il supporto psicologico per i malati esiste ed è funzionante, altri in cui arranca oppure quasi non c’è, come i dati raccolti dal “Pulse” dell’Europan Cancer Organisation mostrano. La stessa situazione di disuguaglianze tocca il cosidetto “diritto di essere dimenticati”, il right to be forgotten. Se guardiamo al numero di anni che devono trascorrere affinché i sopravvissuti al cancro abbiano pari accesso ai servizi finanziari, si passa da dieci anni in paesi come l’Italia e il Portogallo, a 8 in Belgio a 5 in Francia.

… ma le donne sono colpite di più?

Se, dunque, disparità finanziarie di cui i governi dispongono, differenze culturali tra le popolazioni e specificità socio-geografiche (come il vivere in luoghi più o meno inquinati, con tassi di povertà più o meno alta) concorrono a creare quelle che sono evidenti differenze e disuguaglianze nella prevenzione, diagnosi e trattamento del cancro in Europa per tutti e tutte, la dimensione femminile della problematica è motivo di ulteriore attenzione. Non perchè le donne siano più colpite degli uomini dal cancro – di fatto lo sono di meno; non perchè muoiano di più. Ma perchè, come mi ha ricordato in un’intervista recente per Ticino Scienza, Isabel Rubio, oncologa specializzata in oncologia chirurgica e President-Elect of the European Cancer Organisation, «la popolazione femminile è confrontata anche con ulteriori sfide che il cancro presenta e che vanno oltre il campo medico. Le donne insomma devono affrontare difficoltà aggiuntive che incidono profondamente sulla loro esperienza con il cancro». Se mettiamo insieme il fatto che le donne sono più spesso degli uomini delegate al ruolo di cura con le disparità salariali, assenza di sussidi adeguati e una protezione giuridico-sanitaria insoddisfacente, il risulato è preoccupante: «il cancro è la principale causa di morte prematura e disabilità nel mondo, in particolare tra le donne» conferma Rubio.

Anzitutto ci sono barriere economiche e sociali che ostacolano l’accesso ai programmi di prevenzione di molte, troppe, donne. I dati dell’Unione Europea mostrano che il 22,9% delle donne è a rischio di povertà o esclusione sociale, rispetto al 20,9% degli uomini. Questo squilibrio economico si traduce in un impatto significativo per le donne che combattono il cancro, costrette a sostenere non solo il peso fisico ed emotivo della malattia, ma anche gravi difficoltà finanziarie che influenzano e condizionano la partecipare agli screening e in generale l’approccio alla salute – anche perché il costo dei farmaci chemioterapici, dei test diagnostici avanzati e delle terapie innovative può essere proibitivo per donne che vivono in famiglie monoparentali o in contesti di povertà.

Non solo. Un’amica oncologa, che lavora all’ospedale di Namur in Belgio, mi ha raccontato delle sue numerose pazienti che si presentano alle visite da sole, cosa accade molto più raramente per gli uomini, spesso accompagnati dalle compagne! Questa “solitudine” nella malattia si rispecchia anche nelle relazioni di coppia. Il rapporto dell’European Cancer Organisation (ECO) intitolato  “Donne e Cancro: oltre 12 milioni di ragioni per agire!” sottolinea che le donne con cancro alla cervice hanno il 40% di probabilità in più di divorziare rispetto alle donne sane. Il rapporto evidenza anche come la questione economica si intrecci con il ruolo delle donne come caregiver, ovvero le principali responsabili del benessere della famiglia, il che le può portare a trascurare la propria salute per prendersi cura degli altri. Quando questo avviene – e in molti contesti in Europa continua ad avvenire – tempo e risorse sono sottratte alle visite mediche preventive e ai trattamenti necessari.

In occasione della Giornata Mondiale contro il Cancro, lo scorso 4 febbraio, il Commissario per la Salute e il Benessere degli Animali, Olivér Várhelyi, ha incontrato i leader dell’Organizzazione Europea per la Lotta contro il Cancro per discutere dello stato di avanzamento del Piano Europeo per la Lotta contro il Cancro e di ciò che ci aspetta: tutti i paesi dell’UE si sono ora impegnati politicamente a garantire la vaccinazione – sia a maschi sia a femmine – contro il papillomavirus umano (HPV); lo screening oncologico dell’UE ora include strategie di rilevamento precoce per i tumori ai polmoni, alla prostata e allo stomaco, per fare quache esempio. E poi in arrivo una nuova edizione del Codice europeo contro il cancro; una revisione della legislazione sul tabacco per raggiungere una generazione senza tabacco entro il 2040; una nuova rete UE di centri oncologici di eccellenza.

Non possiamo che accogliere questa notizia con entusiasmo. Aggiungiamo però una riflessione: gli incentivi economici e gli investimenti nel campo della ricerca, le campagne di vaccinazione e sensibilizzazione ai fattori che favoriscono l’insorgenza del cancro, da quelli ambientali a alimentari a genetici, da soli non bastano per ridurre le disuguaglianze di genere di cui si è parlato in questo articolo. Aspettiamo quindi interventi politici mirati al fine di migliorare l’accesso alle cure per le donne, garantire loro il necessario sostegno economico e assicurare una distribuzione più equa delle risorse sanitarie e delle politiche familiari. Non vorrei essere accusata di femminismo. Il diritto alla salute è un diritto universale. Se siamo d’accordo su questo, non ne segue che la lotta contro le disuguaglianze di genere è fondamentale per garantire che tale diritto sia accessibile a tutti e non solo “a una parte del tutto”? Se no, tutti gli investimenti economici, le campagne e i miglioramenti scientifici avranno un effetto ridotto, a metà.

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