L’ennesimo terremoto politico italiano mi ha spinto a rileggere la riflessione dello storico e politologo Norberto Bobbio, per cercare di trovare un senso, per rispondere alla domanda, urgente, se abbia ancora senso parlare di destra e di sinistra oggi. E Bobbio, nel “lontano” 2009, diceva che sì, esistono ancora una destra e una sinistra rispetto al concetto di uguaglianza. “In nome dell’eguaglianza naturale – scrive Bobbio nel 2009 – l’egualitario condanna la diseguaglianza sociale; in nome della diseguaglianza naturale, l’inegualitario condanna l’eguaglianza sociale”, e poi “di fronte alla questione dell’uguaglianza, la distinzione fra la destra e la sinistra è nettissima.”
Sono passati oltre 10 anni dall’analisi di Bobbio, e in un decennio i temi tradizionali (economici) sia di destra che di sinistra sono passati in secondo piano rispetto alle questioni sollevate dai movimenti sociali prima e appropriati, poi, da (alcune) fazioni politiche.
Ma allo stesso tempo, la globalizzazione prima e la pandemia ora, non fanno che metterci di fronte a un vistoso aumento delle disuguaglianze sociali, che oppongono i “vincitori della globalizzazione” ai “perdenti”, come ha scritto, tra i primi, Hans Peter Kriesi, ora professore all’European University Institute di Firenze.
Infatti, mentre si discute di ambiente, eguaglianza di genere, tolleranza e apertura rispetto a nuove forme di convivenza, qualità della vita e conciliabilità famiglia-lavoro, crescono le fasce della popolazione più vulnerabili (donne e precari in primis, senza dimenticare i migranti) che chiedono protezione, aiuti, attenzione e diritti. Il fatto che la risposta a queste richieste giunga non tanto dai partiti di sinistra, ma molto più da quelli populisti, non vuol dire che il tema della correzione delle ineguaglianze sia superato. Ma proprio questo tema non è un ciò che tradizionalmente ha diviso la destra e la sinistra?
In un’intervista dello scorso anno a un settimanale svizzero, Daniele Caramani, professore di Scienze Politiche Comparate all’Università di Zurigo, sottolinea come i temi cari alla gente continuino a essere di destra e di sinistra, seppur non più nella forma di interessi materiali e del grado di correzione (attraverso più o meno redistribuzione), ma nella forma di disuguaglianze. Che una persona si possa sposare legalmente e un’altra no (perché di orientamento sessuale diverso); che una persona possa lavorare e un’altra no (perché ha un ruolo diverso nella famiglia); che una persona possa studiare e l’altra no, divorziare o abortire: sono tutte forme di disuguaglianze, che possono essere corrette (e decise) con la legislazione a seconda di orientamenti di destra o di sinistra.
Per quanto vi siano, nello spazio pubblico e politico, altre distinzioni salienti e non facilmente classificabili in termini di destra e sinistra tradizionali – pensiamo solo al grado in cui si è disposti a aprire i mercati del lavoro e al il commercio estero – l’eguaglianza (o minor eguaglianza) resta una frontiera per una discussione politica in un mondo soffocato da disparità di diritti, reddito, cittadinanza: scomparsi i vecchi blocchi sociali, ne sono arrivati di nuovi, che oppongono i sempre più ricchi ai sempre più poveri, precari, non tutelati e bisognosi di essere protetti (o meno) a seconda di diverse visioni politiche, di destra o sinistra appunto.
La (dis)eguaglianza è la grande questione del nostro tempo e scegliere come affrontarla dipende (ancora) dall’essere di destra o di sinistra.