La pianificazione familiare (PF) è da tempo uno degli strumenti più potenti della salute pubblica: salva vite, plasma il futuro delle comunità e sostiene lo sviluppo socioeconomico a livello globale. Definita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità come il processo che consente alle persone di determinare se avere figli, quanti e quando, grazie all’accesso a contraccettivi e cure per l’infertilità, la PF riguarda non solo la salute riproduttiva, ma anche i diritti umani, la parità di genere e le scelte etiche, soprattutto in contesti fragili e a risorse limitate.
Fin dagli anni ’50, i programmi internazionali volti a ridurre la crescita demografica hanno posto la contraccezione al centro delle politiche sanitarie globali. Ma queste strategie non sono mai state prive di controversie: dalla libertà di scelta delle donne alla giustizia sociale, fino all’efficacia dei costi e ai danni potenziali, le modalità con cui i servizi vengono offerti sollevano tuttora interrogativi profondi.
L’accesso ai servizi di PF ha trasformato la vita di milioni di persone: ha ridotto le gravidanze indesiderate, abbattuto i tassi di mortalità materna e infantile, e ampliato l’accesso all’istruzione e al lavoro, soprattutto per le donne. Studi dimostrano che poter pianificare la propria famiglia significa avere più opportunità di uscire dalla povertà e di investire nel futuro dei propri figli.
Tuttavia, anche di fronte a questi benefici, le sfide etiche restano. Come vengono offerte le opzioni contraccettive? Chi viene incluso, e chi escluso, da questi programmi? I diritti dei singoli vengono davvero rispettati?
Una questione cruciale è quella dell’autonomia. Gli utenti – le donne e non solo – dovrebbero poter scegliere liberamente il metodo contraccettivo più adatto alle proprie esigenze. Ma nella pratica, ciò non avviene sempre. Nei Paesi a basso reddito, ad esempio, i metodi a lunga durata vengono spesso imposti come i più “efficaci” senza considerare le preferenze individuali o i fattori sociali legati alle gravidanze indesiderate. Anche negli Stati Uniti, le barriere assicurative rendono difficile, per le donne vulnerabili, rimuovere dispositivi come impianti o spirali, limitando di fatto la loro libertà riproduttiva.
Un altro nodo centrale è quello della giustizia distributiva: chi beneficia effettivamente di questi interventi? Storicamente, i programmi di PF si sono concentrati quasi esclusivamente sulle donne in età riproduttiva, lasciando fuori uomini, adolescenti, persone LGBTQ+ e con disabilità. Questo approccio limitato significa che ampie fasce della popolazione non ricevono né informazioni corrette né accesso ai servizi. Nei contesti rurali o urbani poveri, la situazione è aggravata da carenze infrastrutturali e sanitarie. Eppure, non mancano buoni esempi. In Etiopia, programmi comunitari che coinvolgono mariti e leader religiosi hanno dimostrato di poter abbattere tabù e favorire un dialogo aperto sulla contraccezione. Ma le logiche di mercato tendono ancora a privilegiare le zone urbane ricche, escludendo chi ne avrebbe più bisogno.
L’etica della PF non riguarda solo chi viene servito, ma anche il principio di beneficenza (fare il bene) e quello di non maleficenza (non arrecare danno). Un esempio emblematico è quello del Depo-Provera (DMPA), un contraccettivo iniettivo molto usato in aree con alta prevalenza di HIV. Nuove evidenze suggeriscono che le donne che usano DMPA potrebbero correre un rischio maggiore di contrarre l’HIV—sollevando così interrogativi su come bilanciare l’accesso ai contraccettivi con i potenziali rischi sanitari. L’OMS ha aggiornato le proprie linee guida, ma in molti casi la comunicazione dei rischi resta insufficiente. Ancora più preoccupanti sono i casi in cui la PF assume tratti coercitivi. Dalle sterilizzazioni forzate di donne povere in India e afroamericane negli Stati Uniti fino agli anni ’70, al caso più recente di I.V., una donna immigrata peruviana sterilizzata in Bolivia senza consenso informato nel 2000: questi episodi dimostrano quanto sia fondamentale garantire trasparenza, consenso e rispetto.
Alcuni critici sostengono che, dopo la Conferenza del Cairo del 1994, la PF si sia troppo concentrata sui diritti individuali, trascurando l’impatto demografico sullo sviluppo. Altri propongono un equilibrio: strategie adattate ai diversi contesti culturali e demografici, capaci di rispettare l’etica ma anche di rispondere ai bisogni sociali. Quasi tutti concordano sul fatto che servono alleati fuori dal settore sanitario: dai leader religiosi (in contesti come quelli sub-sahariani), ad aziende che investono passando per attivisti e social media, che possono contribuire a informare, sensibilizzare e raggiungere gruppi spesso esclusi, come i giovani e gli uomini – traget che, tra l’altro, fanno pienamente parte degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDGs) che puntano a garantire accesso equo ai servizi di salute sessuale e riproduttiva a tutte e tutti!