Per il bene comune: se la cittadinanza attiva fosse la cura?

Pochi giorni fa, il primo agosto, è stata la festa nazione svizzera. Dei cittadini e della cittadine svizzere, che quest’anno hanno celebrato senza BBQ all’aperto, nei prati e nei boschi. Il caldo intenso e i connessi rischi di diffusione di incendi non hanno permesso di grigliare come d’abitudine, ma le foto della giornata di festa condivise da amici che abitano in Svizzera non erano meno vivaci di quelle immagini che ho visto negli anni passati e che ho vissuto, quando anch’io abitavo nel Paese. L’anno scorso il primo agosto è stato doppiamente speciale – lo ricordo bene. Era il 2021, l’anno in cui la Svizzera festeggiava il 50esimo anniversario dell’introduzione del diritto di voto e di eleggibilità delle donne.

Un pensiero, questo, che mi porta, inevitabilmente e nuovamente a riflettere su una questione per nulla semplice: cosa ci rende cittadini (cittadine) di un Paese?

Nei secoli – lo sappiamo – cittadinanza come appartenenza, partecipazione e condizione giuridica, concetti fondativi di ogni comunità politica, non hanno avuto (e talvolta, tutt’ora, non hanno) un significato univoco, ma piuttosto complicato e divisivo, tant’è che anche dal punto di vista linguistico, molte lingue hanno sentito il bisogno di differenziare tra cittadinanza come appartenenza (nationality in inglese, nationalité in francese, Staatsangehorigkeit in tedesco) e cittadinanza come partecipazione alla vita politica (citezenship, citoyenneté, Burgerschaft). Tanto per dire…a lungo le donne sono state cittadine di una nazione ma senza diritto di voto e di elezione (tra parentesi, fu la Nuova Zelanda per prima, nel 1893, a introdurre il suffragio femminile, che si affermò in Europa più tardi e con tempi diversi tra l’inizio del Novecento e gli anni Quaranta, con il “caso elvetico” che vide l’estensione del diritto di voto alle donne e a livello federale solo nel 1971, al pari di vari Paesi in Asia e Africa, dove le donne furono considerate cittadine a tutti gli effetti solo a partire dagli anni Settanta; negli Emirati Arabi si deve aspettare fino al 2006 per il suffragio universale e in Arabia Saudita il 2011… chiusa parentesi!).

Insomma, si è cittadini perché si è nati in un certo territorio o lì si dimora da un certo numero di anni? Quanti anni? Disponibilità economica, religione, lingua: devono essere fattori che definiscono chi è cittadino e come lo si diventa? Per qualcuno lo sono.

E a chi non ha ancora raggiunto i requisiti per essere considerato cittadino, che diritti concedere, gratuitamente? Istruzione e accesso alla sanità, ma senza partecipazione politica? Per rimanere nella sfera del noto e personale, la mia generazione Erasmus, che si muove tra frontiere, a quale concetto di cittadinanza può rifarsi?

Recentemente ho letto di una nuova concezione di cittadinanza che si va definendo come “attiva”. Essa prende forma fuori dalla sfera istituzionale, in ambito di movimento, associazionismo, networking, protesta, si manifesta a livello locale, regionale ma anche europeo ed è un invito a passare all’azione, ad assumersi un impegno di responsabilità verso il bene comune quotidianamente. In tal senso, ci si va allontanando dalla qualificazione di cittadino in termini di status. Cittadinanza diventa una condizione sociale, prima che giuridica, perché sottolinea non solo la partecipazione politica del soggetto ma, anzitutto, l’essere coautori delle decisioni pubbliche.

Può la cittadinanza attiva offrire una sorta di via d’uscita ai ‘non cittadini’, a quanti aspettano di diventare tali? Nel contesto multiculturale, in cui i Paesi occidentali vivono, la cittadinanza attiva può forse servire a garantire anche ai ‘non cittadini’ di rafforzare consapevolezza dei diritti e doveri legati alla realtà in cui si trovano? Si aprirebbe così la strada per (ri-)costruire il senso di appartenenza al territorio in cui tutti noi viviamo con gli altri, inducendo a ripensare al ruolo dei tradizionali protagonisti delle democrazie occidentali, mettendo l’interesse comune al centro?

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Questo blog nasce dall’incontro di tre persone emigrate volontariamente in età adulta dall’Italia in Svizzera e che in questo Paese hanno realizzato esperienze diverse in vari ambiti lavorativi e culturali. 

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