“Perché prendere in considerazione la densità di popolazione di un Paese quando si stabilisce il tasso di immigrazione accettabile?”, è a questa domanda che cerca di rispondere Philippe De Bruycker, esperto in diritto europeo dell’immigrazione e dell’asilo, in un articolo apparso sul quotidiano belga Le Soir a metà ottobre (https://www.lesoir.be/542821/article/2023-10-11/pourquoi-ne-pas-tenir-compte-de-la-densite-de-population-dun-pays-pour-fixer-le)
Come spiega il professore, bisogna partire dal 2016 – era l’anno del gran numero di richiedenti asilo in Grecia e in Italia: a fronte di quell’emergenza gli Stati membri dell’UE avevano scelto un piano di distribuzione secondo una chiave di ripartizione basata in particolare sulla popolazione del paese ospitante (40%), il suo PIL (40%) e il tasso di disoccupazione. Ma delle 160.000 persone che avevano chiesto asilo, meno di 35.000 erano stati ricollocati nei Paesi dell’UE.
Il nuovo Patto europeo sull’asilo e la migrazione – ancora soggetto a negoziati tra Consiglio e Parlamento – prevede un meccanismo di solidarietà strutturale obbligatorio (ma flessibile) con un criterio di ripartizione basato per il 50% sulla popolazione del paese ospitante e per il 50% sul suo PIL.
Secondo Philippe De Bruycker – si legge su Le Soir – questo fattore di densità demografica per stabilire il tasso di immigrazione deve essere considerato anche per l’intero territorio, al fine di evitare che una possibile agglomerazione dei richiedenti asilo nelle grandi città possa accrescere o scatenare tensioni con la popolazione “locale”.
Insomma, per l’esperto di diritto europeo dell’immigrazione e dell’asilo è fondamentale assicurarsi una ridistribuzione dei migranti su tutto il territorio nazionale, non solo in considerazione della densità della popolazione in generale ma anche alla luce della densità dei singoli quartieri: « Ce n’est pas très politiquement correct de dire ça, mais il y a un seuil de tolérance de la population lorsqu’il y a une importante concentration de migrants à un endroit. Ceux-ci, souvent pauvres, rentrent “en compétition” avec les précarisés locaux, ce qui génère des tensions. »