Gli europei vivono più a lungo che mai, con un’aspettativa di vita media di circa 81 anni, ma non tutti vivono in salute. Chi ha un livello di istruzione o un reddito più basso affronta svantaggi persistenti, da una vita più breve a una salute mentale compromessa. Sam, ad esempio, proviene da una famiglia di operai e abita in una regione con scarsa disponibilità di frutta e verdura, palestre costose e nessuna pista ciclabile: la sua aspettativa di vita è di otto anni inferiore a quella di Alex, cresciuto in una città ricca di aree verdi, in una famiglia benestante e con possibilità finanziarie sufficienti per seguire una dieta sana. Né Sam né Alex fumano e nessuno ha problemi con l’alcol, eppure la differenza nella loro salute è evidente.
Le disuguaglianze sanitarie in Europa, che si manifestano sia all’interno dei singoli Paesi sia tra le nazioni, non derivano solo dai comportamenti individuali o dall’accesso ai servizi sanitari, ma dai determinanti sociali della salute: reddito, istruzione, alloggio, occupazione, supporto sociale e ambiente. Il rapporto Social inequalities in health in the EU di EuroHealthNet mostra uno schema chiaro e per certi versi noto: più alta è la posizione socioeconomica, migliori sono i risultati sanitari. I dati del European Social Survey confermano che chi ha un’istruzione più bassa ha circa il doppio delle probabilità di dichiarare problemi di salute rispetto ai più istruiti, 40% contro 20%, e questi divari persistono anche tra Paesi con aspettative di vita simili. Ad esempio, nel 2024, il 20% del gruppo meno istruito in Svizzera ha dichiarato problemi di salute, contro il 58% in Lituania, mentre tra i più istruiti le percentuali erano dell’8% in Svizzera e del 29% in Spagna.
I gruppi occupazionali mostrano differenze significative: il 18% di chi svolge lavori di basso livello segnala una cattiva salute mentale, contro l’8% dei professionisti e dirigenti. Le differenze tra Paesi sono marcate: in Portogallo il 27% dei lavoratori meno qualificati soffre di problemi di salute mentale, mentre in Norvegia la percentuale scende al 9%. Questi dati evidenziano l’effetto cumulativo dello svantaggio socioeconomico, con tendenze complesse: in Slovenia e Polonia i divari di salute tra gruppi educativi si stanno riducendo, mentre in Irlanda e Svezia la diminuzione delle disuguaglianze è dovuta al peggioramento della salute dei gruppi più istruiti, un fenomeno noto come “livellamento verso il basso”. In Ungheria, Austria e Germania, invece, la salute complessiva migliora ma i benefici sono concentrati nei gruppi più istruiti, ampliando le disuguaglianze, mentre in Belgio, Norvegia e Lituania si registra un peggioramento della salute con aumento dei divari. Anche le tendenze della salute mentale seguono dinamiche simili: Ungheria e Slovenia mostrano stabilità o miglioramento con riduzione dei divari, mentre Germania, Francia, Svezia, Svizzera e Finlandia registrano un peggioramento generale e un ampliamento delle disuguaglianze.
L’istruzione si conferma uno dei predittori più forti della salute: chi non completa la scuola secondaria superiore ha il doppio del rischio di problemi di salute rispetto ai laureati. Essa influenza opportunità di lavoro, reddito, accesso ai servizi sanitari e comportamenti legati allo stile di vita come dieta, esercizio fisico e prevenzione sanitaria. Tuttavia, l’istruzione interagisce con fattori strutturali: i gruppi meno istruiti sono più esposti a condizioni lavorative dannose, abitazioni insicure e determinanti commerciali della salute, come alimenti ultra-processati o agenti cancerogeni sul lavoro. Migliorare la salute della popolazione richiede quindi interventi mirati all’istruzione insieme a politiche sociali ed economiche.
Guardando a quanto conta l’assistenza sanitaria, da sola questa spiega solo circa il 10% delle differenze di salute. La maggior parte delle disuguaglianze deriva insomma da fattori strutturali, tra cui sicurezza economica, alloggio, condizioni di lavoro, reti sociali e ambiente. Instabilità finanziaria, sovraffollamento, esposizione a rischi sul lavoro, isolamento sociale e mancanza di accesso a spazi verdi e aria pulita influenzano profondamente la salute fisica e mentale.
Che fare? A livello nazionale, diversi Paesi europei hanno sviluppato strategie innovative. La Finlandia, ad esempio, ha adottato l’approccio dell’“Economia del Benessere”, che integra salute e benessere in tutte le politiche con una visione fino al 2050. In Polonia, la tassa sulle bevande zuccherate mira a ridurre i rischi dietetici, con impatto maggiore sui gruppi a basso reddito. La Grecia sostiene le donne Rom attraverso programmi di alfabetizzazione sanitaria e accesso a servizi preventivi, mentre in Norvegia la legge sulla salute pubblica attribuisce responsabilità a tutti i livelli di governo nella promozione della salute. La Spagna ha sviluppato strumenti come checklist per garantire che l’equità sia integrata nei programmi sanitari. Queste esperienze mostrano come le politiche più efficaci combinino benefici universali con supporto aggiuntivo ai gruppi svantaggiati, secondo il principio dell’Universalismo Proporzionato.
A livello dell’Unione Europea, le disuguaglianze sono affrontate tramite regolamenti, finanziamenti e coordinamento strategico. I Pilastri Europei dei Diritti Sociali garantiscono pari opportunità, condizioni di lavoro dignitose e accesso alle cure, con particolare attenzione al principio 16, che assicura servizi preventivi e curativi tempestivi e di qualità. Rgolamentare i determinanti commerciali della salute, come tabacco, alcol e alimenti poco salutari, e nuove iniziative, come il Piano UE per la Salute Cardiovascolare, possono offrire ulteriori opportunità per promuovere l’equità sanitaria. Non c’è più tempo. Anche perché le disuguaglianze persistenti hanno profonde conseguenze sociali ed economiche: riducono la coesione sociale, limitano partecipazione e innovazione nel lavoro e rendono le società meno resilienti di fronte a crisi come pandemie o cambiamenti climatici.
Come si legge nel documento di EuroHealthNet, scritto in collaborazione con il Centre for Health Equity Analytics (CHAIN), garantire risultati sanitari equi non è solo un dovere morale, non solo una necessità per la competitività e la stabilità dell’Europa: serve per garantire un futuro di equità sanitaria a tutti gli europei, non solo a pochi privilegiati.


