Scrivi a me quando arrivi

“Scrivimi quando arrivi” è un’iniziativa nata a Bologna grazie all’idea di una studentessa di giurisprudenza Samia Outia, che consiste in un gruppo WhatsApp dove possono trovare sostegno e presenza tutte quelle persone, per lo più donne, che hanno paura di affrontare da sole il rientro a casa, soprattutto di notte.

Ho ripensato a quante volte, nei miei anni universitari e di lavoro a Torino, ho avuto paura a prendere da sola i mezzi pubblici di notte o ad attraversare un tratto di strada o anche solo raggiungere la mia macchina in un ampio parcheggio. Ricordo in particolare di un periodo nel quale frequentavo un ragazzo che abitava in un quartiere poco sicuro, almeno secondo il mio standard di sicurezza. Ogni volta che dovevo rientrare a casa mia con il buio percorrevo letteralmente a perdifiato il tratto di strada dal suo portone alla mia macchina. Se non altro per disincentivare qualunque malintenzionato a compiere il record dei cento metri per molestarmi.

Sono certa che questa mia paura sia comune alla maggior parte delle donne e lo conferma la necessità di un’iniziativa come “Scrivimiquandoarrivi”.

Il gruppo WhatsApp è nato a Bologna, ma l’idea è stata accolta molto velocemente e con grande entusiasmo anche in altre città come Torino, Firenze, Bergamo e Roma e ad oggi conta circa 350 iscritti. Persone sconosciute tra loro ma solidali nell’affrontare insieme un problema reale e concreto, che mina in modo profondo la libertà di chi si sente possibile bersaglio di molestie.

Un gruppo che comprende soprattutto donne, di età diverse e con vissuti diversi, molte sono studentesse fuori sede, ma anche persone appartenenti alla comunità lgbtq+.

L’obiettivo è quello di rassicurare le persone che devono compiere un tratto di strada da sole creando una rete solidale sul gruppo di Whatsapp. Sapere di essere in contatto diretto con qualcuno che è possibile eventualmente allertare subito in caso di pericolo permette alla persona di tranquillizzarsi e vivere il rientro a casa con meno apprensione.

L’aspetto più “interessante” di questa notizia, che io stessa ho appreso sulla Stampa, sono i commenti sotto l’articolo. Uomini che travisano completamente il problema sbandierando statistiche sulle molto più alte probabilità di morte per incidenti stradali, donne che si chiedono perché non chiedere aiuto alla famiglia o scrivere alle mamme (alle quattro di notte, facendole magari rischiare un infarto?), che invece, a detta della lettrice in questione, vengono sempre snobbate. Il razzista di turno che commenta “purtroppo accettare nordafricani in Italia ha portato a questo”, come se, sempre a proposito di statistiche, la quasi totalità dei femminicidi nel nostro paese non avvenisse tra le mura domestiche per mano di italianissimi mariti e fidanzati. Infine, il vincitore indiscusso, colui che commenta lamentandosi sul fatto che esiste un corpo di polizia e usarlo di più per la sicurezza dei cittadini non significa per forza essere uno Stato razzifascista.

Tutti questi commenti, più della necessità e del forte riscontro di un’iniziativa come questa, servono proprio a spiegare perché le donne hanno bisogno di crearsi da sole una rete solidale di appoggio e sostegno, laddove l’opinione pubblica dilagante continua proprio a negare l’evidenza della situazione. È un fenomeno noto, che delegittima ogni appello, ogni richiesta di una presa di coscienza collettiva e si basa proprio sullo sminuire i pericoli, gli abusi e le discriminazioni di genere, dalla molestia sul lavoro al femminicidio.

Finché ogni singolo cittadino e di conseguenza lo Stato, non riconosce la necessità di tutelare maggiormente le donne in ogni ambito sociale, da quello lavorativo a quello domestico, le donne continueranno ad organizzarsi autonomamente, con iniziative come questa, che dimostrano anche una grande presa di consapevolezza sul valore e il potere della sorellanza, anche o forse soprattutto tra sconosciute.

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Questo blog nasce dall’incontro di tre persone emigrate volontariamente in età adulta dall’Italia in Svizzera e che in questo Paese hanno realizzato esperienze diverse in vari ambiti lavorativi e culturali. 

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