Sei sfumature di rosa per raccontare le storie dei migranti

sei sfumatire di rosa

Mentre l’Europa si prepara alla guerra, quella vera e non più per procura e il presidente del Consiglio Europeo Charles Michel spiana la strada al nucleare e pensa a “una vera Unione dell’energia”, Anversa pensa a costruire ponti di dialogo. Lo fa attraverso i disegni dei bambini.

La notizia, riportata alcune testate mediatiche del Belgio, è questa. Il 21 marzo si è celebrata la Giornata Internazionale contro il Razzismo e la Discriminazione e quest’anno la città di Anversa lo ha fatto distribuendo 20.000 set di matite colorate nele scuole. La particolarità è che ogni set contiene sei diversi colori di rosa, per permettere ai bambini di rappresentarsi o colorare i volti disegnati con sfumature diverse. 

Alle elementari mio figlio aveva imparato a distinguere due tipi di rosa soltanto: quello molto accesso che può andare bene per vivacizzare la carta di un pacco da regalo, e quello “pelle”, caratteristica, però, di un certo tipo di epidermide, tipicamente occidentale. Abitavamo in una città della Svizzera – lo dico tanto non è un mistero – dove incontrare una persona “altra” era poco frequente. Per lo meno non così frequente come a Bruxelles, dove circa il 36% della popolazione non proviene da un Paese dell’UE ma arriva, in particolare, da Marocco, Turchia e Africa subsahariana. Un dato che cresce se ci si sposta di qualche chilometro e si raggiunge Anversa. Qui il 72% dei minorenni ha un background migratorio e il 13% ha origini marocchine. Giusto per dare un altro dato, nell’anno scolastico 2015-2016, il 52,4% degli alunni della scuola primaria era musulmano, superando per la prima volta le altre religioni.

Non è che ad Anversa la convivenza tra gruppi etnici e religiosi diversi sia sempre facile. Niente affatto. Per questo la scelta di distribuire le matite con sei sfumature di rosa, promossa da Karim Bachar (consigliere responsabile delle pari opportunità, di origini marocchine e ex allenatore di calcio nella squadra giovani della città) va raccontata. Essa rappresenta un bellissimo esempio dell’intento di “parlare” con l’altro e di farlo sentire a casa – permettendogli di rappresentarsi con i colori della “sua” pelle. 

Il caso delle “tonalità di rosa nelle scuole” si offre anche a una riflessione più ampia del fenomeno migratorio dai paesi che, un po’ semplicisticamente, chiamiamo “poveri”. Un fenomeno che non è più un’emergenza a cui porre uno stop ma è un fatto che va gestito perché l’Africa ha fame, è dilaniata da guerre e martoriata da disastri ambientali. Ce lo ripetono in tanti, esperti e (alcuni) politici. Ce lo dicono i dati, quelli ufficiali, non modificati con Photoshop! 

Ecco, a proposito di dati: quelli della Banca Mondiale sono sconcertanti. In tutto il continente africano (con l’eccezione di Marocco, Algeria, Senegal e la Repubblica Gabonese)  il 50% o più della popolazione non può permettersi un regime alimentare che soddisfi i requisiti minimi definiti nelle linee guida delle agenzie di sanità pubblica internazionali. In troppi paesi, le persone non solo non mangiano in modo sufficientemente bilanciato ma non hanno proprio cibo (qui per i dati complessivi). Sono oltre 7 milioni i bambini al di sotto di 5 anni nel continente africano che sono malnutriti e che necessitano di un supporto nutrizionale urgente. A questi, si aggiungono gli oltre 1,9 milioni di bambini che rischiano di morire a causa di una grave malnutrizione. Proprio in questi giorni, poi, le Nazioni Unite hanno lanciato appelli sulla catastrofica crisi alimentare e sulla sanità devastata del Sudan, devastato dalla guerra civile e dalla più grande emergenza umanitaria africana, con 4 milioni di sfollati.

Ma quanti, di coloro che vogliono scappare, riescono? E quanti di coloro che partono, giungono in Europa? Pochi. Quanti quelli che si fermano nel primo paese di arrivo – spesso l’Italia? Ancora meno. Secondo i dati della Fondazione Migrantes, negli ultimi 10 anni i migranti che dall’Africa sub-sahariana hanno raggiunto la penisola italiana sono stati 128mila. Nulla in confronto al milione e mezzo di cittadini e cittadine italiani che hanno lasciato l’Italia, anche loro in cerca di un futuro migliore altrove in Europa.

Ecco perché sono chiarissime le parole di Tomaso Montanari, rettore dell’Università per stranieri di Siena: “Vanno aiutati i popoli, prima ancora di fare accordi con governi locali”.

Offrire sei sfumature di rosa è una piccola testimonianza di questa attenzione nei confronti delle storie dei singoli.

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Questo blog nasce dall’incontro di tre persone emigrate volontariamente in età adulta dall’Italia in Svizzera e che in questo Paese hanno realizzato esperienze diverse in vari ambiti lavorativi e culturali. 

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