“Sento che questa sarà la nostra ultima notte di vita”

“Bagnate i vostri vestiti, uscite di casa, rimanete fermi nella neve, cronometrate quanto riuscite a resistere. Ecco, ora, sapete come vivono i migranti bloccati al confine tra Polonia e Bielorussia. La differenza tra voi e loro sta nel fatto che quando vi sentirete congelare, probabilmente già al secondo minuto, potrete tornare al caldo delle vostre case. I migranti, invece, non hanno scelta: rimarranno lì, alle porte di un’Europa che si ostina a respingerli.”

A proporre questo esperimento attraverso i suoi canali social, è stata un anno e mezzo fa Nawal Soufi: un’attivista italo-marocchina di trentacinque anni, impegnata in prima linea sui confini che negli anni hanno rappresentato gli approdi dei viaggi più difficili e pericolosi di migliaia di persone.

Ha cercato di aiutare e sostenere centinaia di migranti lungo la rotta balcanica, così come dalla Sicilia, dove è cresciuta, è stata fin dall’età di quattordici anni un punto di riferimento per le comunità di rifugiati appena arrivati: “Grazie al fatto di parlare arabo, riuscivo a tradurre le loro necessità.”

Poi un giorno del 2013 le arriva una telefonata diversa. La voce che le chiede aiuto si trova in mare, su uno dei tanti barconi dell’anno più tragico per la rotta sul Mediterraneo, o forse semplicemente i primi eclatanti “incidenti” ai quali ne sarebbero seguiti molti altri, che tutti noi ricordiamo.

Nawal in quella occasione avvisò subito la Guardia Costiera e da allora collabora regolarmente con loro, grazie al fatto che il suo numero di telefono si è diffuso capillarmente tra i molti migranti che affrontano la traversata. È lei che chiamano in caso di necessità ed è lei che nella giornata del 13 giugno è stata contattata da un’imbarcazione con a bordo settecentocinquanta persone, partite dalla città di Tobruk, in Libia, cinque giorni prima.

La voce che sente inizialmente è quella di una donna, che in seguito scoprirà, grazie ad alcuni sopravvissuti, trattarsi di una giovane di vent’anni, siriana, rimasta rinchiusa nella stiva insieme a molte altre famiglie e bambini.

“Avevano assolutamente bisogno di aiuto, da qualsiasi Guardia Costiera europea” dichiara Nawal Soufi in una sua testimonianza diretta dei fatti, pubblicata sul suo account di Instagram.

Mancava l’acqua e a bordo c’erano già sei cadaveri, tra i quali un ragazzino di sedici anni. Lei si trovava al telefono con loro, durante una delle numerose chiamate ricevute durante quella giornata infinita, quando si accosta una nave che lega con due funi il barcone e comincia a gettare a bordo bottigliette d’acqua. Da questo momento si scatena il panico, l’imbarcazione oscilla pericolosamente e l’uomo in contatto con Nawal le dice chiaramente: “Stiamo rischiando di morire. Non capiamo se si tratta di un’operazione di soccorso o se è qualcosa che ci porterà verso il naufragio”.

Quel lancio di bottigliette d’acqua rischiava solo di farli ribaltare così decidono di allontanarsi leggermente dall’imbarcazione.

Quella nave era della Guardia Costiera greca, che ha lanciato le bottiglie d’acqua e poi se n’è andata dichiarando che: “Dopotutto era il desiderio delle persone a bordo proseguire la propria traversata verso l’Italia”.

Le versioni evidentemente non coincidono. Le due opzioni più attendibili non si escludono a vicenda: probabilmente la Guardia Costiera greca ha atteso un po’ troppo a intervenire nella speranza che senza gravi incidenti la barca superasse l’agognato confine territoriale e tutta la questione diventasse responsabilità di un altro paese, unita alla probabilità che sia stato un trafficante a bordo a rispondere che andava tutto bene e che intendevano proseguire il viaggio.

Come dei soccorritori esperti abbiano potuto credere a questa affermazione, con sei cadaveri a bordo e centinaia di persone in evidente stato di emergenza, che si sono lanciate all’assalto delle bottigliette d’acqua, resta un mistero.

Secondo la testimonianza di Nawal Soufi nessuno era contrario al soccorso e all’approdo in Grecia. L’unica Guardia Costiera di cui erano terrorizzati, continua il racconto dell’attivista, era quella libica. “Avevano il terrore che potessero intercettarli e riportarli in Libia”.

Nawal Soufi ha già salvato migliaia di persone dall’annegamento nel Mediterraneo ma questa volta il suo allarme è caduto nel vuoto. Al momento poco più di un centinaio di persone si trovano al sicuro. Ci sono ancora decine di dispersi, tra i quali una quarantina di bambini che probabilmente si trovavano nella stiva insieme a molte madri e donne e sono affondati insieme all’imbarcazione.

Io non lo so dove trova la forza Nawal Soufi per rispondere all’ennesima chiamata da un numero sconosciuto e restare per ore in contatto con le persone disperate in balia del mare che le chiedono aiuto. Continuare a sostenerle ripetendo loro che i soccorsi arriveranno presto, di stare tranquilli, perché lei ha avvisato le guardie costiere e stanno arrivando, sapendo che spesso non è vero e che nessuno arriverà a salvarli.

Sopportare le grida del panico, i pianti dei bambini, prima di perdere la linea e sapere che non richiameranno.

Ma continua a farlo, prendendosi il compito più arduo di tutti, assistere spesso inutilmente alle ultime ore di vita di centinaia di donne, uomini e bambini, quelli che noi chiamiamo migranti, snaturandoli della loro umanità che ci renderebbe inconcepibile assistere impassibili a queste tragedie di dimensioni colossali. Perché non è più accettabile nel 2023 morire in mare nella stessa tratta battuta dalle crociere dai nomi accattivanti come “Profumi di Mediterraneo”.

Non è più accettabile strumentalizzare queste morti per consensi politici e soprattutto è indegno che non si siano ancora trovati accordi che rispettino i diritti universali dell’uomo concedendo spostamenti più sicuri, sottraendo le tratte all’illegalità e alla corruzione.

Ma queste sono solo parole vuote e senza potere, di una europea privilegiata che si indigna ma non sa cosa fare di fronte alle ultime terribili parole dell’uomo che era in contatto con Nawal Soufi e del quale ancora non si sa nulla: “Sentiamo che questa sarà la nostra ultima notte di vita”.

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Questo blog nasce dall’incontro di tre persone emigrate volontariamente in età adulta dall’Italia in Svizzera e che in questo Paese hanno realizzato esperienze diverse in vari ambiti lavorativi e culturali. 

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