Nel 2001, mentre io, neo-maggiorenne, mi apprestavo a votare per la prima volta pensando (illusa!) di cambiare il corso della storia politica italiana, le donne in Svizzera celebravano 30 anni dal diritto di voto femminile nel Paese. Vent’anni dopo, l’Italia cerca di scongiurare un’altra chiamata ai seggi anticipata riponendo tutta la sua fiducia in Mario Draghi, e la Svizzera continua a rendere omaggio alle sue pioniere.
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Me lo sono sentito ripetere, con l’avvicinarsi dei miei 18 anni, in ordine di importanza, da mia madre, dalla mia professoressa di filosofia, dalla madre sessantottina di una compagna di classe:
“VOTA, per cambiare il mondo.” / ” VOTA per influenzare l’agenda politica.”/ ” VOTA e fai sentire la tua voce!”/ “VOTA, insomma, VOTA, ora che nei hai diritto!”
Infatti, ho votato. Per quella elezione, e le altre che sono seguite.
Ma come ho votato?
Il mio è stato il voto di una (giovane) donna? Oppure ho votato secondo un “sentire al femminile”?
Me lo chiedo perché sesso e genere non sono la stessa cosa. Ora lo sappiamo bene.
Negli anni la Scienza Politica mi ha insegnato che le donne hanno opinioni più egualitarie degli uomini su una vasta serie di questioni, in particolare tendono a essere più progressiste sulla parità di genere e meno spesso esprimono pregiudizi razziali o omofobia degli uomini. E poi ci sono differenze in quello che gli scienziati politici chiamano salienza, la priorità che uomini e donne attribuiscono a particolari argomenti. Le donne, ad esempio, riferiscono una maggiore preoccupazione per l’istruzione e la salute, mentre storicamente gli uomini danno maggiore priorità alle relazioni internazionali e alla tassazione. E secondo Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, le donne sono anche un po’ più sensibili alle sfide ambientali.
Eppure su altri temi, la differenza nel voto tra uomini e donne si riduce: si tratta, ad esempio, del sostegno all’aborto e questioni relative alla razza, all’immigrazione e alle spese militari.
Inoltre vari studi hanno dimostrato l’influenza di background etnico, status socioeconomico e religione sul voto delle donne.
Tuttavia, nell’opinione pubblica la narrazione dominante si limita a fornire spiegazioni stereotipate che si concentrano su uomini e donne come “blocchi” (diversi) di voto e l’affermare che donne e uomini votano in modo differente è, a conti fatti, uno strumento che serve a quanti (politici) hanno bisogno di una semplificata narrazione su ciò che le donne vogliono ma meno a descrivere la realtà.
Ci si dimentica così che le donne sono divise nelle loro opinioni come lo sono gli uomini e non sono un gruppo omogeneo, al quale gli strateghi di partito possono rivolgersi con facilità. E si rischia di dimenticarsi come l’impatto del genere sul voto differisca dall’effetto del solo sesso! Insomma, il sesso non determina dove ci si colloca su un continuum mascolinità/femminilità. Sesso e genere (sex and gender, in inglese) non sono la stessa cosa.
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