Sulle tracce di Salgari o forse no

Malesia?! Ma perché proprio la Malesia?! Con i bambini? Con tutte quelle ore di volo, e il fuso orario, per non parlare del clima e con il cibo? Come ve la caverete con il cibo?

Queste sono solo alcune delle domande che ci sono state poste quando comunicavamo il nostro progetto di viaggio per questa estate.

Premesso che viaggiare sia la nostra priorità da sempre e non abbiamo smesso neppure durante la pandemia, tornare nel Sud-Est  Asiatico era un sogno che coltivavamo da anni e che volevamo proprio testare con i nostri figli.

L’aspetto più sorprendente è stato assistere alla loro spontanea e curiosa apertura al diverso.

Hanno saputo immergersi nella nuova realtà con una naturalezza sorprendente, prendendo subito il nuovo ritmo del sonno e della veglia, accettando di sudare tanto, così come di approfittare di qualunque fonte d’acqua, fontana o piscina disponibile a rinfrescarsi. Hanno fatto fatica con il cibo piccante ma ci hanno provato sempre, con coraggio e un bel bicchierone d’acqua a portata di mano.

L’incredibile approccio dei nostri bambini ci ha permesso di aprirci a nostra volta verso il territorio e le persone, osservando e condividendo tutto.

È stato quello che speravo che fosse: un viaggio immersivo che ci ha staccato da tutto il resto.

Mi piacerebbe, in un paio di episodi, raccontarvi gli aspetti più interessanti che abbiamo scoperto della Malesia, ma anche alcune ombre che ci hanno fatto riflettere molto.

Ma partiamo dagli aspetti positivi che sono molti di più.

DIGITALIZZAZIONE E AVANGUARDIA

Indubbiamente le cose sono cambiate molto negli ultimi otto anni, ma rispetto alle nostre precedenti esperienze in Thailandia e Indonesia, la facilità di accesso a molteplici servizi è stata di gran lunga maggiore in Malesia, proprio grazie a un diffuso utilizzo delle applicazioni digitali.

Per spostarci all’interno delle città non è stato più necessario fermare taxi o Tuc Tuc, contrattando ogni volta sul prezzo, cosa che peraltro mi ha sempre creato non poco disagio. Grazie a questa applicazione chiamata Grab era possibile prenotare un autista privato, nello stile di Uber, pagare già la corsa e monitorare il suo arrivo lungo il percorso con tempi stimati esattissimi. Oltre a essere estremamente conveniente forniva anche altri servizi, come la consegna della cena ordinata online.

Con tutti i gestori dei nostri appartamenti prenotati abbiamo comunicato via Whatsapp, dove ricevevamo anche video illustrativi o foto con le istruzioni per accedere alle chiavi o ai locali.

Persino l’assistenza tecnica di un museo a Kuala Lumpur ci ha risolto un piccolo inghippo con l’acquisto dei biglietti via Whatsapp e a una velocità disarmante.

L’abitudine alla prospettiva occidentale del mondo distorce spesso la percezione della realtà, portandoci a pensare di essere sempre più innovativi, moderni e veloci a cogliere e sfruttare le nuove risorse.

Così come la mia idea della centralità dell’Europa e della sua influenza in ogni contesto internazionale, da quello finanziario a quello culturale, ha ricevuto uno schiaffone ben assestano quando siamo giunti a Penang. Capitati senza saperlo nel fermento artistico del famoso Festival internazionale di George Town, abbiamo potuto ammirare una città profondamente all’avanguardia, con mostre, installazioni ed eventi sparsi per tutto il centro storico e numerosi artisti importanti che esponevano le loro opere, provenienti da tutto il mondo asiatico: dal Giappone, alla Thailandia, Indonesia, Cina e Vietnam. Neppure un nome occidentale. Evidentemente non siamo così fondamentali a definire lo stato dell’arte oltre i nostri confini. Quello che ho scoperto, ammetto con una punta di imbarazzo, è una città vibrante e innovativa, piena di giovani di talento e tanta voglia di mostrarlo. Che non sia totalmente realistica la concezione che tutto passa prima per Berlino o Londra?

CONVIVENZA PACIFICA

La Malesia è un melting pot di religioni e civiltà ed è un fatto che si respira da subito a partire dal cibo, con menu che spaziano tra piatti di contaminazione malese, indiana e cinese. Ma basta la vista per rendersi conto della naturale commistione di culture e spiritualità che convivono pacificamente tra loro. Abbiamo visitato coloratissimi templi induisti che sorgevano di fianco a moschee e templi buddisti. Cinque volte al giorno il canto del Muezzin si diffondeva per la città, mentre nei pressi di un famosissimo sito di pellegrinaggio indù una fila di banchetti vendeva colorate ghirlande di fiori da portare in offerta al dio Shiva e intanto su un’altura poco lontano, dentro un tempio buddista, file di lanterne rosse e d’oro venivano mosse dal vento mentre una piccola folla di fedeli composti e silenziosi pregavano accendendo candele profumate a forma di rosa e incensi.

Ha colpito molto i bambini questo accesso libero e rispettoso a più luoghi sacri differenti. Ci ha permesso di confrontare iconografie e modalità di preghiera, oltre a osservare le persone, così diverse tra loro, anche nell’abbigliamento, eppure unite tutte da una forte spiritualità, libera di esprimersi nei propri luoghi e modi.

Abbiamo anche provato a chiedere a gente del posto se è sempre stato così in Malesia e ci hanno confermato che a parte un grosso scontro civile tra cinesi e malesi, avvenuto più di trent’anni fa, ha sempre regnato una forte tolleranza reciproca.

Concludo questo mio primo viaggio di riflessioni con un pensiero che ha fatto capolino una volta tornata a casa. Credo che al di là dei benefici pratici che un viaggio possa offrire a livello di esperienze, benessere e scoperte, ciò che rispondo quando mi chiedono ma perché andare così lontano è:  per ridimensionare il mio mondo quotidiano. Il viaggio mi ricolloca nella complessità di cui facciamo parte, realizzando quanto irrisorio sia il nostro peso, mi aiuta a decentrarmi e ad alzare lo sguardo a tutto quel fuori che spesso fa molta meno paura a guardarlo in faccia piuttosto che limitarsi ad immaginarlo. A volte apre a scenari inaspettati e bellissimi, altre volte a realtà fastidiose e difficili da accettare, ma sempre meglio che restare aggrappati alle nostre quattro certezze incrollabili, così lise che nessun vento può sollevarle più.

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Questo blog nasce dall’incontro di tre persone emigrate volontariamente in età adulta dall’Italia in Svizzera e che in questo Paese hanno realizzato esperienze diverse in vari ambiti lavorativi e culturali. 

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