Svizzera: dire poco, dimostrare tanto. La neutralità al microscopio della storia

di Emma Gabriele

La sensibilità di un popolo sta nella sua capacità di pensare la propria politica nazionale preoccupandosi delle conseguenze verso i paesi vicini. 

E ancora: Nella coscienza del popolo rossocrociato esiste la razionale intuizione che trattare o discutere con gli altri è una regola di un gioco che si chiama politica fiscale, finanziaria, internazionale.

La Svizzera è un popolo indipendente dalle catene di parole svuotate di senso ed è estranea alle vane ricerche dei significati teorici di «giusto» o «sbagliato». (Ovvero, essa è una comunità di interessi pragmatica che sa individuare i problemi e che conosce la necessità di negoziare, attendere, dirimere questioni per arrivare all’unico scopo preminente: trovare una specifica soluzione). Ed è proprio ora, ora più che mai che vi è bisogno di questa capacità.

In questa linea di riflessione il gruppo apartitico Coscienza Svizzera ha organizzato a Lugano, venerdì 11 novembre 2022, una serata dal titolo Neutralità al bivio?. La domanda è stata discussa da Sacha Zala, docente e storico, in dialogo con Verio Pini, Presidente di Coscienza Svizzera. Passando in rassegna aspetti di carattere storico, diplomatico e culturale, Sala ha illustrato la crescita culturale e storica del concetto di neutralità e le formule narrative ad esso connesse – obbligo resta evitare le ubriacature propagandistiche, questo è il rinomato e attraente spirito realistico elvetico.

In questo legame storico ed empirico con il concetto di neutralità, il Prof. Zala ha delineato anche un lessico della neutralità, di quella neutralità ripulita da fraintendimenti che può essere utile per ragionare sul principio stesso. Ha ricordato la necessità di rimodulare ogni volta il linguaggio che si ha sul mondo, proprio perché nulla è fermo, tutto va cercato, riconquistato, rinegoziato. 

Neutralità come fucina di domande, come un cantiere, come guscio interpretativo, quasi una questione di stile: lucido spirito realistico rossocrociato.

Divulgata con un distacco affettuoso senza mai compromettere la serietà di fondo del discorso, il Prof. Zala ha presentato al pubblico in sala le urgenze interpretative al concetto di neutralità. Nessuna esaltazione, nessuna apologia, nessuna ideologia ha pregiudicato le sue parole.

La discussione di Sala ha cercato di sottolineare come lo Stato elvetico sia neutrale sì, ma che le persone hanno opinioni che sono il frutto di contrazioni ancestrali o di slanci cosmopolitici: gli svizzeri sono coinvolti proprio perché non si lasciano coinvolgere; sanno che prendere per mano la propria coscienza e la propria storia significa sapere di essere all’interno di eventi che costringono ad interrogare il proprio senso morale e politico, mettendo in luce la responsabilità del passato e la impalpabilità del futuro.

Ed essere svizzeri significa anche non indugiare in una neutralità fatta solo di teoria che, come diceva Friedrich Dürrenmatt «resta un’opzione politica, non una professione di fede » e che « se la situazione lo richiede, le opzioni politiche devono essere cambiate».

I vicini al confine praticano la violenza che si traduce in materiale esplosivo per il legame federale, ma per la Svizzera vale la regola dello Jass: «chi non gioca tenga la bocca chiusa» (o quasi) e resta all’erta.

I vicini però non possono e non devono essere dichiarati nemici e contemporaneamente resta evidente che la partecipazione al mondo è irrinunciabile, come diceva il premio Nobel Carl Spitteler («non siamo farisei né maestri del mondo») nel discorso del 14 dicembre 1914 alla sezione zurighese della Nuova società elvetica.

La neutralità per la Svizzera passa per un sentiero spesso accidentato, quello che va dalla adesione alla Società delle Nazioni, passando per l’adesione all’Organizzazione delle Nazioni Unite, fino a ipotesi ventilate e non troppo apprezzate di adesione all’Unione Europea. 

Dopo il 1989 la Svizzera è stata costretta a rivedere l’isolamento dalle organizzazioni sovranazionali come conseguenza della scelta neutrale e le strade possibili erano due: o lasciare la neutralità e schierarsi o rimodularne il concetto, adattandolo realisticamente. Resistette e (continua a farlo) alle bellicosità ed essendo sempre stata propensa per la seconda opzione, la neutralità è divenuta un carattere imprescindibile dell’essere svizzeri. 

La Svizzera è un paese multiculturale, sostenibile, che non ha mai cessato di interrogarsi e che avverte sotto la cenere scintille che non possono essere ignorate. Un’antica comunità di valli, un paese peculiare, solido, che è il cuore dell’Europa (il diaframma, come lo ha definito la scrittrice Monique Schwitter) con valori e sensibilità europee ma spesso insofferente proprio all’Unione Europea o ai limiti che da essa sorgono. 

Un approccio e una cultura politica particolare caratterizzano questo montuoso lembo di terra: quella del bottom up, dal basso verso l’alto, dove le ideologie non contano ma serve guardare i problemi dalla prospettiva dell’altro. Una vocazione alla mediazione che non parte da una visione burocratica centralista ma da un’idea di armonia, di non aggressività, Un`idea elvetica di libertà, titola il libro del Prof. Carlo Lottieri. Calma, equa, pacata e mai semplice osservatore ma testimone, custode al di sopra delle linee di combattimento e mai assente. 

György Konràd, scrittore dissidente ungherese definì la Svizzera come un paese dotato di «radicale autocoscienza della diversità in una dignitosa convivenza tra popoli», (ed è qui che ad oggi sosta il significato rossocrociato di neutralità), gli si può dar torto?

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Questo blog nasce dall’incontro di tre persone emigrate volontariamente in età adulta dall’Italia in Svizzera e che in questo Paese hanno realizzato esperienze diverse in vari ambiti lavorativi e culturali. 

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