La tragedia che si sta consumando in Afghanistan solleva numerosi quesiti: di carattere umanitario, geopolitico, economico, di sicurezza e etico. A Kabul e nelle regioni del territorio afgano sotto controllo talebano donne (e uomini) non potranno uscire dalla cultura imposta. Per loro, le “vie di fuga” si stanno drammaticamente, e giorno dopo giorno, chiudendo. Il discorso vale in senso letterale – le strade e gli accessi sono controllati dalle milizie dei Talebani – e in senso più astratto: la vivacità culturale, che tante persone afgane hanno faticosamente e con dedizione cercato di far fiorire negli ultimi 20 anni, sta venendo cancellata.
A 6500 chilometri di distanza, noi viviamo in un contesto che ci presenta l’opportunità di scegliere. Non solo. Ci permette di scegliere tra diverse “vie di fuga”. Lo possiamo fare quando siamo chiamati al voto. Scrivendo i nostri blog. Manifestando (civilmente) nelle piazze per il clima. Oppure, semplice – ma non banalmente – abbiamo la possibilità di scegliere di indossare i vestiti che ci piacciono e della taglia che vogliamo, anche se la moda propone altro. E così via.
Ma: cosa facciamo con le vie di fuga che ci si presentano davanti? Quando vediamo relazioni di genere distorte o la negazione dei diritti (d’accoglienza) – ad esempio: scegliamo di uscire dalla nostra cultura, di prenderne le distanze? Ci rifiutiamo di seguire quei comportamenti e attività cognitive che sfociano in disparità sociali? Sospendiamo pratiche discriminatorie e ci impegnamo per cambiare lo status quo?
Detto altrimenti, ci avventuriamo lungo la strada che comporta un esercizio critico su usi e credenze abituali e curiosità rispetto a questioni che riguardano tutti – mondo umano, animale e vegetale?
Per Adriano Favole, antropologo e professore di antropologia culturale, autore di “Vie di fuga” (UTET, 2018), si tratta di accettare, che ogni cultura – anche la nostra – è in sé incompleta e va continuamente costruita. Questa costruzione non può realizzarsi se non entrando in contatto con gli altri.
Per questo si viaggia, talvolta si emigra, si visitano mostre e musei. Si studia. O si leggono libri. Romanzi o gialli, poco importa.
La storia ci insegna che chi legge è meno manipolabile: e infatti i libri hanno sempre rappresentato un pericolo per ogni forma di dittatura. Anche oggi lo sono, un pericolo. Gianni Rodari diceva: “Vorrei che tutti leggessero. Non per diventare letterati o poeti, ma perché nessuno sia più schiavo”. E per avere vie di fuga!