Tra 67 anni la parità nei media?

Le donne nei media sono sottorappresentate. Le donne, dai media, non sono intervistate come esperte. Le donne sono assenti quando si parla di economia e politica.

Ripetiamolo. Le donne nei media sono sottorappresentate. Le donne, dai media, non sono intervistate come esperte. Le donne sono assenti quando si parla di economia e politica.

E ancora. Le donne nei media sono sottorappresentate. Le donne, dai media, non sono intervistate come esperte. Le donne sono assenti quando si parla di economia e politica.

Melius est abundare quam deficere dicevano i latini. Meglio abbondare che scarseggiare. Sui temi della parità soprattuto… E così, pochi mesi dopo la pubblicazione di un’indagine condotta dall’Istituto di ricerca di opinione pubblica e società (Fög) e dall’Istituto di scienze della comunicazione dell’Università di Zurigo (UZH) sulla sottorappresenza di genere nei media, arriva un altro studio internazionale sui media Global Media Monitoring Projekt (GMMP) della World Association for Christian Communication (WACC): entrambi ci dicono che nei media manca la prospettiva di genere. O detto diversamente, i media parlano largamente e prevalentemente al “maschile”.

Già nello studio zurighese, che ha preso in esame 106’706 contributi dei media dal 2015 al 2020 e un totale di 44 media svizzeri online e stampati della Svizzera nelle quattro regioni linguistiche, si metteva in luce che “gender gap esiste in tutte le regioni linguistiche svizzere e in tutti i tipi di media. Le differenze sono maggiori a livello dei singoli titoli dei media. Tuttavia, una forte rappresentazione delle donne non è presente in nessun titolo dei media.” La rappresentazione delle donne, poi, varia molto a seconda dell’argomento e del formato. Gli uomini dominano nelle aree della politica, degli affari e dello sport (23% e 17% rispettivamente, 13% la quota delle donne), un po’ meno nelle aree della cultura e dell’interesse umano (27% e 31% la quota delle donne rispettivamente).

Simili conclusioni le ritroviamo nell’analisi del GMMP, che nel 2020 ha preso in esame 116 countries e 30’172 tra articoli di giornali, trasmissioni radio e TV così come siti di notizie online. Per restare in Europa, i dati dicono che solo poco più di un quarto delle persone menzionate nella copertura mediatica (28%) sono donne. Queste ultime sono molto meno considerate quando si tratta di temi “tipicamente maschili”, come l’economia (25%) e la politica (23%), mentre sono menzionate con una frequenza superiore alla media nei servizi legati alla cultura e all’intrattenimento (38%). Non solo: le interviste alle donne in qualità di opinioniste nei media si aggira intorno al 20%. Quindi ogni 8 uomini invitati come “esperti”, solo 2 sono le donne, le quali invece hanno un posto come fonti, o “esperte”, in storie stereotipicamente viste come dominio femminile, dal parto, ai concorsi di bellezza, alla cosmetica e alla disuguaglianza tra donne e uomini. La Svizzera segue perfettamente questo trend. E per di più, differenza dello studio condotto dai ricercatori dell’università di Zurigo, il GMMP evidenzia anche differenze tra le regioni linguistiche: “il Ticino – come ricorda FAFTPlusè il fanalino di coda con una quota di donne del 21.5%, mentre nelle altre regioni la percentuale è più alta (svizzera tedesca: 29.1%, svizzera francese: 27.8%, Cantone dei Grigioni: 25.7%)”.

Già lo scorso anno, il Consiglio d’Europa scriveva nel suo report denunciava che, “nonostante alcuni progressi, la copertura mediatica delle questioni di uguaglianza di genere e della violenza contro le donne, così come le disuguaglianze di genere nella professione, gli alti livelli di violenza contro le donne giornaliste e una debole rappresentazione delle donne nei ruoli decisionali devono ancora essere affrontati“. 

Di questo passo, ci vorranno almeno altri 67 anni per colmare il divario di uguaglianza di genere a livello mondiale nei media tradizionali.

Che fare? Riprendo le parole di Marialuisa Parodi, co-presidente di FAFTPlus, co-direttrice di Equi-Lab e da anni impegnata a sensibilizzare sul tema dell’impatto economico delle disuguaglianze di genere. Parlando a proposito del servizio pubblico dei media, Parodi afferma “è passato il tempo dell’interrogarsi sul se, ora si tratta di concentrarsi sul come scardinare questi limiti e promuovere attivamente la parità. Diventa indispensabile porsi degli obiettivi oggettivi e quantificabili di rappresentanza e rappresentatività di genere, monitorarne i progressi, interrogarsi nel caso fossero troppo lenti, adattare le linee d’azione”. Signori che siete ai vertici dei palinsesti e delle redazioni, a quando le vostre proposte per la parità?

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