I rom. Una storia

Sergio Bontempelli, pisano, si occupa dagli anni ’90 di immigrazione. È stato consigliere comunale di maggioranza nella sua città. Esperto di questioni legate allo stato giuridico dei cittadini stranieri, ha lavorato per anni negli sportelli informativi per migranti in vari Comuni ed è attualmente attivo come operatore legale. Collabora a vari progetti di integrazione a livello italiano ed europeo anche come formatore degli operatori del settore. È redattore del Corriere delle migrazioni, presidente dell’associazione Africa insieme di Pisa, e dell’associazione culturale Straniamenti in provincia di Firenze.

Il suo impegno nelle problematiche delle popolazioni Rom e Sinti è sfociato quest’anno nella pubblicazione del libro I Rom. Una storia presso l’editore Carocci. Di questa pubblicazione Sergio Bontempelli ha cortesemente accettato di parlare con Sconfinamenti.

ASCOLTA qui l’intervista

I rom. Una storia

(Alessandro Vaccari) “La guerra è passata e gli zingari tornano a circolare per l’Europa: piccolo e fausto segno del faticosi e lentissimo riassestamento del nostro continente”. Il tuo libro si apre con questa bella citazione del testo di un cinegiornale Luce del 1946. Questo fa pensare che ci sia un rapporto tuttora valido fra qualità delle nostre democrazie e rispetto dei Rom e di tutte le minoranze. 

(Sergio Bontempelli) È vero. La ricomparsa delle carovane dei Rom e dei Sinti, dopo la fine della guerra, può essere interpretata come un segno di speranza dopo il sistematico tentativo di sterminio da parte dei nazifascisti ma solo con il senno di poi.  Oggi sappiamo che i nazisti concepirono nei confronti dei Rom e dei Sinti un piano di sterminio analogo alla “soluzione finale” degli ebrei ma di questo si ebbe piena consapevolezza solo anni dopo la fine del regime hitleriano. Il cronista del cinegiornale intuì in qualche modo che la qualità non solo della democrazia ma anche della pace dipendeva anche dal fatto che gruppi minoritari potessero esistere e vivere liberamente in una nuova Europa.

(Dell’olocausto dei Rom e dei Sinti Sconfinamenti si è già occupato in un post precedente https://sconfinamenti.info/porajmos-lolocausto-dei-rom-e-dei-sinti/ n.d.r.)

Nel tuo libro delinei con una ricostruzione storica riccamente documentata la situazione dei rom nel secondo dopoguerra in Italia. Ne vuoi parlare brevemente?

Prima di tutto occorre ricordare soprattutto a chi vive nel Centro e nel Nord Italia che i rom che vivono in Italia non sono tutti stranieri e non provengono soprattutto   dalla ex Jugoslavia e dalla Romania. In realtà il nome   rom viene attribuito a una minoranza transnazionale europea. Questo significa che esistono rom spagnoli, francesi, rumeni, bulgari e anche rom italiani.

Quando si parla di rom italiani non ci si riferisce a persone che hanno acquisito in tempi recenti la cittadinanza italiana ma a persone che sono italiane da generazioni e che hanno nomi italiani. I rom presenti in Italia con cittadinanza straniera sono in realtà una minoranza. Questo fa capire come slogan del tipo:” Rimandiamoli a casa loro” non tengono conto, a parte ogni altra considerazione, che “casa loro” è spesso l’Italia.

Non ci sono statistiche precise sul numero di rom che vivono in Italia ma si parla di 150-180.000 persone, quindi di una minoranza molto piccola. Contrariamente all’opinione corrente non si tratta di una minoranza di nomadi ma complessivamente di persone che vivono in larga misura   una condizione di marginalità abitativa, spesso nei campi, nelle baraccopoli ecc.

Il quadro da te tracciato delle politiche di accoglienza o più propriamente di non accoglienza da parte del governo centrale italiano e delle amministrazioni locali risulta alquanto desolante, senza rilevanti differenze fra quanto fatto dai politici di destra o di sinistra. Condividi questa mia impressione di lettore?

Personalmente non mi appassiona la gara per stabilire chi è meglio o peggio fra centrosinistra e centrodestra o se si equivalgono; in questo modo si corre il rischio di rimanere impigliati in questioni ideologiche mentre è importante attenersi ai fatti.

Le amministrazioni locali hanno mostrato nelle politiche perseguite nei confronti dei rom una sostanziale continuità e non hanno mostrato in alcun modo la volontà di attuare, soprattutto nelle grandi città, politiche in grado di superare la marginalità abitativa di questa minoranza. Questo ovviamente per le persone orientate a sinistra è particolarmente disturbante, tenendo anche conto che in passato la sinistra ha operato in modo incisivo proprio sul terreno del disagio abitativo.

In questa situazione complessiva piuttosto desolante emerge invece come un’eccezione positiva la politica tracciata da Andrea Riccardi, uno dei fondatori della Comunità di Sant’ Egidio, nella sua veste di ministro nel governo Monti, fra il 2011 e il 2013.

 Sì, bisogna tener conto che con il governo presieduto da Berlusconi che precedette il governo Monti, per i rom era stato esplicitamente dichiarato lo stato di emergenza.

Riflettiamo bene sul significato di un simile provvedimento governativo: in sostanza, un’intera minoranza etnica veniva paragonata a una calamità naturale, con l’attuazione di misure analoghe a quelle attuate per esempio nella fase più acuta della recente crisi pandemica.

Questa politica per fortuna è stata sconfitta in primo luogo dall’azione delle organizzazioni per la difesa di diritti umani e dai movimenti rom che hanno fatto una grande battaglia, anche su scala europea contro i provvedimenti di emergenza, conducendo vittoriosamente anche cause legali molto importanti. In questo clima, con l’insediamento del governo Monti, Andra Riccardi è diventato ministro per l’integrazione e con lui l’Italia ha messo in atto per la prima vota una politica innovativa, delineando un percorso reale di inclusione dei rom e dei sinti con la chiusura dei campi e l’assegnazione di abitazioni.

A questo progetto politico fu dato il nome di Strategia nazionale d’inclusione che è stata applicata solo parzialmente ma ha comunque costituito una rilevante svolta politico-culturale.

Un ambito importante ai fini di una vera integrazione è quello della scuola: che cosa è stato fatto finora e che cosa sarebbe auspicabile fare?

L’immotivato esotismo prevalente nel considerare i rom si ripercuote anche sulla loro scolarizzazione; si ipotizza spesso una difficoltà nella loro integrazione scolastica a causa di presunte differenze culturali che sarebbero difficili da superare. Il problema non riguarda tanto le differenze culturali ma semmai la segregazione in cui sono relegati taluni gruppi di rom. In alcune realtà del Sud Italia, dove i rom vivono una situazione abitativa non segregante, la loro integrazione scolastica presenta le stesse problematiche del resto della popolazione.

Nelle conclusioni del tuo lavoro sottolinei il problema del consenso popolare senza il quale le politiche di inclusione non sono realizzabili; è un tema che riguarda non solo le problematiche dei rom ma anche quelle migratorie. Non basta la buona volontà se poi le politiche di inclusione non godono del necessario consenso. 

È vero che le politiche locali di integrazione hanno bisogno del consenso ma questo non deve diventare un alibi per non fare niente. Il consenso non è dato di per sé in modo immutabile ma va costruito. L’attuale ostilità prevalente fra la gente rispetto alle politiche di integrazione è stata costruito e coltivata ad arte da una certa politica con l’appoggio di alcuni media. Basandomi anche su ricerche empiriche quali quella del sociologo Tommaso Vitale, ho cercato di mostrare come l’amministratore locale che intenda superare la marginalità abitativa deve lavorare a costruire il consenso.

Questo vale per tutte le forme di integrazione; non basta indignarsi bisogna essere in grado di realizzare politiche inclusive che godano del consenso della popolazione.

Sì, se facciamo riferimento a esperienze del recente passato possiamo trarre qualche indicazione. Spesso si pensa che la convivenza fra migranti e popolazioni locali sia impossibile. In Italia una quindicina di anni fa si pensava, ad esempio, che l’integrazione dei romeni nella nostra società fosse irrealizzabile e c’era chi lanciava allarmi del tutto ingiustificati contro una presunta emergenza senza riscontro nella realtà; nel 2007 la Romania entrò a far parte nell’Unione Europea con la conseguenza che in tutto il territorio dell’Unione, dunque anche in Italia, i cittadini romeni non avevano più bisogno né di visti né di permessi di soggiorno. In seguito a questo evento non si è verificata alcuna invasione dell’Italia da parte dei romeni e oggi gli strali dei cittadini diciamo così ansiosi non si rivolgono più contro i romeni.

Oggi assistiamo poi al fenomeno degli ucraini che, dopo lo scoppio della guerra, hanno raggiunto in Italia una presenza tripla rispetto alle persone che sono sbarcate provenendo dalla Libia. Eppure, nessuno oggi parla di invasione ucraina dell’Italia. Le politiche restrittive rispetto a determinati gruppi di migranti contribuiscono   a “costruire” la diffidenza nei loro confronti mentre, al contrario, le politiche di pieno riconoscimento dei diritti contribuiscono a contrastare l’ostilità e il disprezzo.

Questa è anche un’indicazione per una linea politica da perseguire anche in rapporto al clima politico che rischia di crearsi in Italia specie dopo le recenti elezioni.

 Anche qui a Pisa mi ricordo che quando ero bambino i figli dei disoccupati che abitavano nei quartieri periferici erano considerati, anche nelle scuole, persone da trattare con diffidenza e sospetto, atteggiamenti scomparsi nel resto della popolazione grazie a efficaci politiche di inserimento sociale. Le baraccopoli non sono state insomma create per i rom; nel primo dopoguerra molti italiani poveri vivevano nelle baracche e sono stati stigmatizzati finché hanno vissuto in una situazione di marginalità abitativa il cui superamento ha favorito la loro piena accettazione da parte del resto della popolazione. Non ci sono ricette infallibili per promuovere l’integrazione ma l’esperienza ci fornisce chiare indicazioni sulla direzione in cui muoversi.

 

 

 

 

 

 

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Questo blog nasce dall’incontro di tre persone emigrate volontariamente in età adulta dall’Italia in Svizzera e che in questo Paese hanno realizzato esperienze diverse in vari ambiti lavorativi e culturali. 

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