di Maddalena Ermotti Lepori, Deputata il Centro per il Gran Consiglio ticinese
Se la funzione punitiva della giustizia è una costante nella storia della civiltà giuridica occidentale, mutano invece i metodi utilizzati per “sorvegliare e punire”. La storia del diritto penale è contrassegnata da un lento processo di umanizzazione delle pene, e dal progressivo abbandono delle forme più crudeli di repressione: almeno in Europa sono state da tempo abbandonate le pene corporali e infamanti. Alla fine di questo per corso vi è appunto la giustizia riparativa.
La società ha certo il dovere di difendere efficacemente i cittadini dalle aggressioni criminose, oltre che di prevenire futuri crimini, ma è più lungimirante investire nella capacità del reo di tornare a scegliere il bene, piuttosto che basarsi sul solo fattore della forza e della deterrenza. Inoltre, durante e dopo il carcere (a volte necessario per proteggere la società), occorre reintegrare chi ha sbagliato: «ero in carcere e siete venuti a visitarmi» (Mt 25,36).
Umanizzazione del diritto penale
Il diritto penale seguiva in passato una logica retributiva (derivata dalla legge vetero-testamentaria “occhio per occhio, dente per dente”), che compensava il male, il delitto, con un altro male, la pena: comunque un progresso rispetto a quando un delitto richiedeva la vendetta da parte del clan leso, il che originava una serie di vendette che di generazione in generazione insanguinavano la comunità. In seguito la pena è stata vista in una logica preventiva, come deterrente al reato. Si è poi messo l’accento sull’aspetto rieducativo della pena, che mira al reinserimento sociale del reo.
Infine, ecco la “giustizia riparativa”, che coesiste e si affianca al tradizionale paradigma della giustizia punitiva e che intende rispondere non tanto alla domanda “chi merita di essere punito? In base a quale reato?” ma piuttosto a “cosa può essere fatto per riparare i torti?”. Essa considera il reato non tanto come violazione della legge, ma come condotta che ha offeso qualcuno: coinvolge dunque vittime, colpevoli e la comunità tutta nella ricerca di strumenti che promuovano la riparazione del danno cagionato dal delitto e la riconciliazione tra autore e vittima.
È così restituita dignità alle vittime, quando il loro ruolo nel processo era marginale, il diritto al risarcimento del danno spesso insoddisfatto, e completamente trascurata la dimensione emozionale dell’offesa: anche dopo la condanna del reo, gli interrogativi più dolorosi (“perché mi hai fatto questo?” e “perché pro prio a me?”) restavano senza una risposta, e talvolta permaneva un risentimento non solo verso il reo ma anche verso il sistema giudiziario.
Definizione di giustizia riparativa
In Europa la giustizia riparativa non è più allo stato pionieristico, e il Consiglio d’Europa incoraggia gli Stati membri a sviluppare e utilizzarla nell’ambito dei rispettivi sistemi di giustizia penale. È intesa come «ogni processo che consente alle persone che subiscono pregiudizio a seguito di un reato e a quelle responsabili di tale pregiudizio, se vi acconsentono liberamente, di partecipare attivamente alla risoluzione delle questioni derivanti dall’illecito, attraverso l’aiuto di un soggetto terzo e imparziale».
Essa persegue diversi obiettivi: in primis, l’offerta di un vero riconoscimento alla vittima, che può così riuscire a recuperare il controllo sulla propria vita e sulle proprie e mozioni, e gradualmente superare quei sentimenti di vendetta, di rancore, di sfiducia che la paralizzano.
Ma anche la riparazione del danno nella sua dimensione non solo economica ma anche psicologica ed emozionale, che può portare anche a insicurezza collettiva.
Poi, la autoresponsabilizzazione del reo che, messo a confronto con la sofferenza causata, può rinunciare a quei meccanismi di difesa che lo inducono a autogiustificarsi, e invece riconosce la propria responsabilità e la necessità della riparazione. Infine il coinvolgimento della comunità nel processo di riparazione e più in generale il rafforzamento del senso di sicurezza collettivo. La giustizia riparativa si può attivare con diversi modelli, ma il suo principale strumento, almeno in Europa, è dato dalla mediazione penale.
La mediazione penale
È un percorso, volontario, in cui la vittima e il reo (direttamente o attraverso mezzi indiretti) si impegnano in una discussione sul reato e sul suo impatto, facilitata da mediatori imparziali e formati che assistono le parti nel raggiungimento di un accordo che soddisfi i bisogni di tutte le parti e fornisca una soluzione al conflitto.
La mediazione può svolgersi prima della sentenza, e allora di solito gli accordi vengono presi in considerazione nel processo, ma può essere utilizzata anche durante la detenzione del condannato e diventare parte del suo processo di riabilitazione.
Le condizioni affinché la mediazione sia possibile non riguardano il tipo di reato o la gravità dello stesso: occorre invece che l’autore si assuma la responsabilità per il danno commesso, che i fatti siano chiari per tutte le parti coinvolte e che sia vittima sia autore abbiano la volontà di partecipare al percorso, entrambi sentendosi al sicuro nel percorso stesso.
In Svizzera
La mediazione penale è prevista dalla Legge federale di diritto processuale penale minorile entrata in vigore il 1° gennaio 2011, secondo la quale l’autorità prescinde dal procedimento penale se si è svolta con successo una mediazione che ha portato a un accordo di riparazione tra autore e vittima. È l’autorità com petente che può, ottenuto il consenso delle parti e dei loro rappresentanti legali, incaricare della me diazione una persona qualificata e autonoma, alfine di trovare una soluzione negoziata liberamente tra le persone coinvolte.
In altri Paesi, per contro, la mediazione è un diritto delle parti, ed è prevista anche per i reati compiuti da adulti (come aveva proposto il Consiglio federale, poi sconfessato dal Parlamento).
In questi anni, la maggioranza dei Cantoni si è avvalsa della mediazione per i minorenni con risultati in generale buoni, sia in termini di minore recidiva, sia di miglior ascolto delle vittime: si parla in Svizzera di circa 1200 persone che annualmente escono da un tale percorso con un sentimento di soddisfazione, considerando che è stata fatta giustizia.
Non così in Ticino, dove la mediazione non è stata praticamente attivata. Più diffusa è la conciliazione (che permette di evitare la presentazione della querela o di giungere al ritiro della stessa): manca però l’aspetto educativo fortemente presente nella mediazione penale, come pure l’empowerment della vittima, e la rigenerazione dei legami sociali.
Auspico dunque che anche qui venga promossa la mediazione penale per i minorenni, e si rifletta sulle modalità di promuovere la giustizia riparativa in generale, come chiesto da una mozione interpartitica di cui sono la prima firmataria.
Per gentile concessione de L’Osservatore, www.osservatore.ch. Articolo apparso sul magazine L’Osservatore l’11 marzo 2023.