Confessioni a cavallo tra due lingue e due culture

I nomi delle strade sono in francese. Rue qua and rue là. Bonjour e salut sono i saluti che ci rivolgono quando si entra nei café o nelle innumerevoli brasserie, nei musei o negli hotel. Il francese è la prima lingua in cui si fanno annunci sui mezzi pubblici.

Solo che Bruxelles è una città “francofona” solo in parte. È vero che i due terzi della sua popolazione sono cresciuti con il francese come lingua “madre”, ma il fiammingo è parimenti una lingua ufficiale, senza menzionare la competizione con l’inglese, che è ben percepibile. Tutto questo non stupisce, dato che mi trovo in una città di immigrazione, sede delle istituzioni europee, un crocevia di genti che parlano due o più lingue, al punto che il bilinguismo (o plurilinguismo) non è un’anomalia e (forse) nemmeno un privilegio per pochi.

Eppure, la domanda che mi sovviene, mentre osservo il via vai di persone che mi circonda, è se Bruxelles, oltre che luogo plurilingue, sia anche un luogo multiculturale, ovvero capace di valorizzare allo stesso modo diverse culture e propenso tanto a integrare i nuovi arrivati quanto a favorire il mantenimento delle proprie radici, siano esse linguistiche, religiose o di valori, tra chi si è stabilito nella città arrivando da altrove.

L’interrogativo che rivolgo alla città belga potrei benissimo porlo a me stessa, che vivo tra due lingue e altrettante culture. Gli amici anglofoni mi considerano italiana – credo – a tutti gli effetti e non tanto per ascendenza famigliare, quando per il modo di parlare, il gesticolare. Gli italiani invece vedono in me tratti alieni all’italianità, come un eccessivo rigore, maturato (probabilmente) durante gli anni trascorsi in Svizzera e manifesto, ad esempio, nella routine “della buona notte” che impongo ai miei figli, anche ora che non sono più bebè. Anche il mio apprezzamento per lunghe camminate nella pioggia è poco “latino”.

È vero, percepisco il mondo e gli spazi che occupo senza confini netti; ma il mio professarmi cittadina del mondo (o dell’Europa) non mi è sempre riuscito in modo spontaneo e privo di sforzi, come seduta, in bilico, sul crinale di una montagna che segna il confine tra due stati. Una gamba di qua e una gamba di là, ma in nessun luogo interamente. Una parte di me sempre un po’ estranea all’altra.

Ci vuole impegno, per non cadere, per non scivolare da un lato o dall’altro del crinale.

Eppure io, come tanti altri, ogni giorno mi esercito a restare in equilibrio. Perché dove sono è un osservatorio privilegiato che mi permette di avere una visione d’insieme e pormi interrogativi – dandomi a volte anche alcune risposte – che non mi sarebbe dato di fare stando seduta solo da un lato. In ogni momento, questa doppiezza è preziosa, tanto più oggi che viviamo in un mondo il quale si presenta come fatto di parti non-comunicanti e senza sfumature.

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Questo blog nasce dall’incontro di tre persone emigrate volontariamente in età adulta dall’Italia in Svizzera e che in questo Paese hanno realizzato esperienze diverse in vari ambiti lavorativi e culturali. 

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