Aiuto: c’è un topo vicino a casa. E anche da voi.

Immaginate una giornata di pioggia a inizio dicembre, tornare a casa dopo una giornata di lavoro, aver solo voglia di gettarsi sul divano. E invece, trovare un topo (per di più tramortito, possa pensare dal mio gatto) davanti all’ingresso di casa, in un quartiere residenziale alle porte di Bruxelles. A me è successo, e non mi è piaciuto!

Così ho fatto un po’ di ricerche. Ecco cosa ho scoperto.

I topi (ma anche i ben più grandi ratti) sono ovunque – solo che io, fino a che ho vissuto in Svizzera, non ho mai “incontrato” questi roditori che invece, da secoli, prosperano nelle nostre città (ho poi scoperto che anche Bellinzona, la capitale del Canton Ticino, ha avuto i suoi guai con i roditori, ad esempio).

Si stima che in Belgio ci siano due ratti per ogni abitante (per fortuna non abito a Parigi, dove si contano 4 o addirittura 5 esemplari per individuo). Pe restare in Europa, Londra ne ospita quasi 20 milioni; a Madrid se ne contano 9 milioni e a Roma ce ne potrebbero essere più di 10 milioni; mentre Milano è il nido di circa 5 milioni di questi animali.  

Non ci piacciono (ai più). Sono invasivi, distruttori, pericolosi, spugne per le malattie. Ci ricordiamo tutti della “peste nera” diffusa dai ratti e che tra il 1348 e il 1352 ha ucciso tra i 25 e i 40 milioni di persone. Seicentosett’anni dopo, la Xenopsylla cheopsis, la pulce incriminata per la trasmissione della peste continua a uccidere le persone: secondo le statistiche dell’OMS, tra il 2010 e il 2015 si sono verificati 3’248 casi di peste umana, 584 dei quali si sono conclusi con la morte. In Europa il principale rischio per la salute legato alla presenza dei ratti è la leptospirosi, che se non viene diagnosticata in tempo e quindi trattata velocemente, provoca insufficienza renale, polmonare ed epatica, o emorragie anche mortali (nella Francia metropolitana, la leptospirosi colpisce 1 persona ogni 100.000 abitanti).

E così, i ratti, cerchiamo di eliminarli, anche a costo di sacrificare la fauna selvatica, che cade vittima del veleno per ratti, e rimanendo comunque consapevoli che derattizzazione è una sorta di partita di scacchi con la colonia di roditori. E comunque con risultati non sempre soddisfacenti. C’è chi punta il dito anche contro l’Unione Europea che ha bandito (con la normativa in materia di biocidi) l’uso di rodenticidi che contengono sostanze tossiche e ne ha regolamentato l’uso. Così, se in passato si era soliti mettere palline di veleno direttamente nelle tane in cui vivevano i ratti o cospargere di polvere velenosa le vie sotterranee e gli spazi popolati dai ratti, ora il veleno deve essere posto all’interno di piccole scatole di plastica nera, che fungono da esca. In questo modo, si riduce il rischio di contaminazione della rete idrica o indigestione accidentale del veleno da parte di altri animali domestici (o persone) ma è richiesto al topo di cercare attivamente le palline avvelenate. Non sempre funziona, dato che nelle nostre città topi e ratti possono facilmente trovare un pasto “di tre portate” per gran parte dell’anno a pochi passi dalle loro tane, da una baguette mezza mangiata lasciata in un bidone lungo la strada, un pezzo di mela caduto per terra, pasta e piselli in un contenitore abbandonato nei pressi della stazione (se non addirittura in pieno centro cittadino). Tra l’altro, nelle aree urbane, si è confrontati con una non facile gestione dei rifiuti urbani. Dai cassonetti per l’immondizia, stracolmi, ai sacchi di rifiuti deposti davanti a casa il giorno di raccolta: i roditori non hanno che l’imbarazzo della scelta di quale “ristorante” a cielo aperto servivisi.

Il problema è complicato e è da auspicarsi che la politica non si tiri indietro.

Nel frattempo, cosa posso fare? Tenermi il gatto! Anche se non ci sono prove che i gatti possano sopprimere le popolazioni di ratti, alcuni studi hanno scoperto che l’odore dei gatti dissuade i ratti dall’uscire all’aperto per cercare cibo e acqua. Insomma, fintanto che il mio gatto sarà in giro, i ratti eviteranno di uscire all’aperto (spero).

[ Inciso: va comunque ricordato che, a dispetto della sua cattiva reputazione in natura, il ratto è ampiamente utilizzato in importanti esperimenti nel campo delle neuroscienze, della fisiologia e della tossicologia: i “ratti da laboratorio” infatti rappresentano il 13,9% di tutti gli animali utilizzati nella ricerca in Europa, secondi solo ai topi (che ne costituiscono il 60,9%) – l’Ue con diverse direttive e regolamentazioni (come la Regulation (EU) 2019/1010) regola procedure e modalità di utilizzo di animali come cavie in testa da laboratorio ] .

Seguici

Cerca nel blog

Cerca

Chi siamo

Questo blog nasce dall’incontro di tre persone emigrate volontariamente in età adulta dall’Italia in Svizzera e che in questo Paese hanno realizzato esperienze diverse in vari ambiti lavorativi e culturali. 

Ultimi post

Terrorismo

Il termine terrorismo deriva dal verbo latino terrere che significa “intimorire, incutere paura”. Nel linguaggio politico moderno entrò in uso per indicare una determinata fase della Rivoluzione francese.

Leggi Tutto »