All’armi, siamo europei!

Il 21 ottobre Angelo Panebianco, sul Corriere della sera ha enunciato la necessità di un significativo passaggio delle economie dei Paesi Ue dal welfare al warfare.

https://www.corriere.it/opinioni/23_ottobre_21/difendersi-europa-lungo-sonno-b8cf2658-7034-11ee-a2dc-ec63b3b04d4f.shtml

Questo   saccente utilizzo della lingua inglese esprime con eleganza eufemistica la necessità e l’auspicio di convertire fondi significativi attualmente destinati alla spesa sociale e al benessere, specie dei ceti più deboli, verso un deciso incremento delle spese militari. Del resto in questa stessa logica, il Parlamento europeo ha approvato, nel giugno scorso, una relazione della Commissione europea che permette ai singoli Paesi dell’Unione di utilizzare  fondi del Pnrr per incrementare le proprie spese militari. Un’Unione europea totalmente incapace di un’iniziativa politica propria per porre fine ai conflitti e di attuare politiche di pace e di sviluppo in grado di favorire un’autentica sicurezza, asseconda e incrementa dunque quella corsa al riarmo in grado di provocare nuovi conflitti.

Un recente rapporto di Greenpeace analizza alcuni aspetti del riarmo europeo, concentrando la propria attenzione su Spagna, Germania e Italia.

https://www.greenpeace.org/static/planet4-italy-stateless/2023/11/d4d111bc-arming-europe.pdf

I Paesi europei della Nato hanno aumentato nel decennio 2014-2023  del 50% le spese militari e del 10% nel solo 2023; al costo dell’appoggio all’ Ucraina in guerra, si aggiunge una specifica volontà di riarmo dei singoli Paesi. Ogni cittadino di questi Paesi ha pagato in media per spese militari nel 2023 508 euro contro i 330 del 2014.

Le importazioni di armi e di equipaggiamenti dei Paesi europei della Nato  sono triplicate dal 2018 al 2023 e metà di tutte le importazioni provengono dagli Usa che sono i principali beneficiari dell’affare.

Nel decennio 2013- 2023 a fronte di un aumento complessivo del Pil dei Pasi Ue della Nato del 12% e dell’occupazione del 9%, le spese militari sono cresciute del 46%.

Per comprendere concretamente cosa significa passare dal welfare al warfare basta considerare che nel decennio considerato la spesa pubblica è aumentata negli stessi Paesi  del 20% mentre quella militare ha avuto un incremento più che doppio.

Il rapporto di Greenpeace definisce l’acquisto di armi un investimento di denaro pubblico che, data l’alta percentuale di importazioni, produce effetti limitati sulla produzione e l’occupazione dei singoli Paesi. In Italia una spesa  di 1.000 milioni di euro per armamenti presa come base ipotetica di calcolo produce un aumento di produzione di 741 milioni di euro e un aumento di 3.000 occupati a tempo pieno. Se la stessa somma fosse impiegata per l’istruzione, la salute e l’ambiente gli effetti positivi per la produzione e l’occupazione sarebbero di gran lunga maggiori. In particolare, investendo la somma indicata nella protezione ambientale si potrebbero creare 10.000 posti di lavoro e 14.000 se l’investimento riguardasse l’istruzione.

Con cifre diverse lo stesso tipo di calcoli riguarda tutti I Paesi europei egualmente lanciati nella corsa al riarmo.

A parte ogni altra considerazione il riarmo sconsiderato in atto praticamente dall’inizio del secolo, a cui i recenti sviluppi bellici forniscono ulteriori impulsi non è un buon affare dal punto di vista economico per i Paesi Ue e implicherebbe un ripensamento di fronte al progressivo e generalizzato impoverimento dello stato sociale.

Oltre a questo orientare in modo privilegiato gli investimenti pubblici verso il settore militare crea un reticolo di interessi che Eisenhower definì “complesso militare-industriale” che rischia  di  dominare la vita politica e sociale del nostro continente come già da tempo avviene per gli Usa. Inoltre, in questo modo, si diffonde una mentalità che attribuisce alle armi piuttosto che a progetti di pace e di cooperazione il conseguimento di una maggiore sicurezza per il mondo in cui viviamo.

 Per contrastare questo sviluppo, Greenpeace ha indirizzato   una petizione al governo italiano auspicando un taglio alle spese militari e una tassazione degli extraprofitti realizzati dalle industrie belliche in questi anni.

Si tratterebbe di un importante contributo alla distensione a cui altri soggetti al di fuori dell’Europa, devono necessariamente   partecipare in una fase storica in cui in tutto nel mondo la parola sembra sempre più affidata alle armi.

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Questo blog nasce dall’incontro di tre persone emigrate volontariamente in età adulta dall’Italia in Svizzera e che in questo Paese hanno realizzato esperienze diverse in vari ambiti lavorativi e culturali. 

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