di Donatella Donati
“Le parole “capire” e “comprendere” riferite a comportamenti malvagi e a crimini individuali e collettivi suscitano continui malintesi, che a mio avviso possiamo almeno in parte evitare purché:
1) prima di tutto ci accordiamo sull’esistenza di due principali accezioni con cui queste parole possono essere usate, accezioni entrambe legittime, attestate dai dizionari e dall’uso.
2) ci rendiamo conto che le due accezioni rimandano a due piani del discorso diversi, entrambi importanti, che possiamo chiamare piano dell’ascolto e piano del giudizio.
3) riusciamo a tenere contemporaneamente vivi e presenti ma anche distinti questi due piani, riconoscendo così che quando intendiamo “capire” e “comprendere” nell’accezione di “cercare un senso”, allora siamo sul piano dell’ascolto, della ricerca, della conoscenza; quando invece intendiamo “capire” e “comprendere” nell’accezione di indulgere, giustificare, allora siamo sul piano del giudizio, dell’assoluzione e della condanna.
Si tratta di due dimensioni mentali diverse. Può essere arduo tenerle sempre entrambe presenti e sapere ogni volta distinguere in quale delle due in un dato momento ci si trova, a nome di quale delle due in quel momento si parla, evitando così di scivolare involontariamente e/o inconsapevolmente dall’una all’altra, evitando di negare ora all’una ora all’altra il suo peculiare valore.
Senza questa attenzione però, senza questo impegno, facilmente la discussione diviene confusa e possono fiorire malintesi anche gravi. (E i malintesi sono poi ardui anch’essi da chiarire, e possono avere conseguenze talvolta pesanti).
A me sta a cuore richiamare l’attenzione principalmente su questo:
se la parola “capire” evoca in noi prevalentemente, quasi automaticamente, l’idea di “giustificare”, allora quando qualcunә c’invita a interrogarci sulle “ragioni” irrazionali che possono spingere al crimine e al male, forte e naturale sarà la nostra tendenza a diffidare, a ritrarci, e anche se forse lì per lì non diremo direttamente di no, però in qualche modo tenderemo a frenare, a non inoltrarci su questa strada.
Per paura di giustificare, ci priveremo della possibilità di capire (capire nel senso di acquisire una conoscenza), e di conseguenza qualunque azione intraprenderemo per combattere quel male sarà fondata su un’analisi manchevole di dati essenziali.
Se invece non tendiamo a consideriamo “giustificare” e “capire” come sinonimi e la parola “capire” si associa in noi prevalentemente non all’indulgere ma allo scoprire, al conoscere, al trovare un senso, allora cercar di capire cosa possa spingere (o contribuire a spingere) al crimine a al male non ci sembrerà un lusso inutile o addirittura un pericolo, ma ci sembrerà una delle vie da percorrere per disporre dei dati necessari a un’analisi il meno possibile incompleta.
Sparirà o almeno ricomparirà solo a tratti l’impressione di collusione e di resa nei confronti del male; e nel combatterlo potremo anzi sentirci un po’ meno inermi, un poco più forti.
Impareremo ad avere meno paura di quel che potremmo scoprire.”