Bambini nascosti: la responsabilità fu della Svizzera?

L’aria è tesa. Nel silenzio, l’auto passa la frontiera a Chiasso. Direzione: Svizzera romanda. Nel bagagliaio è nascosta una bambina. Invisibile. Siamo negli anni Sessanta.

Circa mezzo secolo dopo, Celeste è ancora in Svizzera, testimone di una parte poco nota della storia elvetica: quella della migrazione italiana del secondo dopo guerra e dei bambini nascosti. Attraverso le pagine del libro a fumetti “Celeste bambina nascosta“, scritto da Pierdomenico Bortune e illustrato da Cecilia Bozzoli, ci è dato di rivivere la drammatica quotidianità dei migranti e dei tanti minorenni portati in Svizzera dai genitori il cui statuto da stagionali non consentiva di tenere con sé familiari. E così, mamme e papà “utili all’economia”, pur di mantenere unita la famiglia, tenevano i propri figli e le proprie figlie con loro di nascosto.

Dei bambini nascosti in Svizzera – si calcola che furono tra 10.000 e 30.000, per lo più con passaporto italiano, tra gli anni Sessanta e Settanta – ce ne siamo occupati anche noi, intervistando Catia Porri, lei stessa fu una bambina nascosta ed è oggi tra le voci più critiche delle leggi elvetiche di quegli anni, portabandiera di quanti credono che sia sulle spalle della Svizzera la responsabilità primaria dei costi umani inflitti ai bambini nascosti.

Il fatto è che non tutti coloro che vissero, come Catia, in clandestinità condividono questa prospettiva. Sinceramente non ero preparata a questa “nota” che proprio Catia ha condiviso con me recentemente.

“Il paradosso, drammatico, è che molti dei piccoli protagonisti di questa storia di discriminazione attribuiscono la responsabilità della loro clandestinità a una scelta imputabile principalmente alla propria famiglia e non guardano con sguardo critico alla responsabilità della Svizzera”, afferma con amarezza Catia. Cosa significa? Molti figli non hanno mai compreso la decisione di padri e madri di farli vivere da clandestini e ancora oggi, a distanza di anni, li considerano i principali carnefici della propria clandestinità. Già perché quando un genitore riceveva l’ordine di far partire per l’Italia la propria figlia o il proprio figlio, non era intimato agli adulti, con un lavoro stagionale nella Confederazione, di lasciare la Svizzera. Insomma, “tanti genitori – ci spiega Catia – avrebbero potuto fare ritorno nel loro paese d’origine, con i figli, alla luce del sole. Nessuno li obbligava a rimanere a Zurigo. Ecco, questa scelta di tanti adulti che hanno scelto di restare nascondendo i propri figli e di restare è stata fonte, negli anni a venire di rotture e traumi familiari”. Con gli ex-bambini nascosti divenuti oggi a loro volta genitori e anche nonni, le divisioni e incomprensioni si trascinano tra generazioni così come, forse, rimangono aperte ferite tra nazioni.

E’ anche alla luce di questo conflittuale vissuto di alcuni bambini nascosti, e che Catia mi ha raccontato, che può essere letto “Celeste”, i cui disegni e il cui linguaggio poco prolisso, privo di moralismo e piuttosto sintetico – come per ogni fumetto che si rispetti – ci permettono di riflettere sulla drammatica quotidianità dei migranti e dei tanti minorenni nascosti e, allo stesso tempo, ci aiutano a gettare uno sguardo ottimista sul percorso per la piena integrazione, di cui oggi le seconde e terze generazioni sono espressione, tenendo in vita “quel” passato (per altro recente) del Paese e riempiendolo di significati per chi vive il presente.

Seguici

Cerca nel blog

Cerca

Chi siamo

Questo blog nasce dall’incontro di tre persone emigrate volontariamente in età adulta dall’Italia in Svizzera e che in questo Paese hanno realizzato esperienze diverse in vari ambiti lavorativi e culturali. 

Ultimi post