Casa Sankara: quando dignità e libertà si trovano in un barattolo di pomodoro

Chi conosce da tempo le attività di Mamre, o ci segue attraverso le pagine della nostra rivista  Iqbal, http://www.associazionemamre.it/category/iqbal

/ sa bene che la mission della nostra Associazione è quella di essere al fianco delle vittime di violenza, in particolare donne e bambini ma, più in generale, degli invisibili, degli ultimi, dei diseredati e dei dimenticati, ovunque vengano perpetrate ingiustizie e discriminazioni, soprusi che vogliamo conoscere, far conoscere e denunciare.  “Se gli altri tacciono, se noi anziani e responsabili-tante volte corrotti-stiamo zitti, se il mondo tace, vi domando: ‘Voi griderete?’ Per favore, decidetevi prima che gridino le pietre.” come ebbe a dire papa Francesco sfidando i giovani presenti in Piazza S. Pietro il 26 marzo 2018, in occasione della Giornata mondiale della gioventù.

Questa volta vogliamo però partire con una testimonianza che è anche una storia di riscatto, di solidarietà, di giustizia e legalità; la dimostrazione che dove le Istituzioni intervengono, dove la Politica (in questo caso, regionale) svolge la sua funzione di operare con saggezza e lungimiranza, può incidere positivamente sulla vita delle persone amministrate, migliorandone la qualità e la dignità. E con un ritorno economico a vantaggio di tutta la collettività.

A raccontarci questa vicenda è Herve, un giovane senegalese arrivato in Italia 15 anni fa che, come tanti altri sfortunati compagni di viaggio approdati in Europa nella speranza di trovare migliori condizioni di vita, ha finito per scontrarsi con una realtà che mai si avrebbe immaginato: un non luogo conosciuto come il “ghetto di Rignano”, nelle campagne tra Foggia e San Severo. Più volte sgomberato, incendiato (nella notte tra il 2 e il 3 marzo 2017 due giovani del Mali persero la vita nel rogo), è sempre risorto, magari spostandosi di 50 metri, con le sue baracche di lamiera e le roulotte scassate, ospitando (si fa per dire) oltre 1.500 persone.

“Quando abbiamo iniziato a mostrare i filmati del ghetto nelle scuole della Capitanata (zona settentrionale della Puglia, n.d.r.), i ragazzi– ci dice Herve –   non volevano credere che le immagini si riferissero all’Italia, pensavano che provenissero dall’Africa. Ma nessuno di noi migranti aveva mai visto tanto degrado nei propri paesi d’origine!”. 

Le persone nei ghetti (oltre a quello di Rignano, c’è quello di Borgo Mezzanone e molti casolari abbandonati nelle campagne circostanti) vivono in condizioni igienico-sanitarie precarie: isolamento, assenza di mezzi di trasporto, mancanza di servizi primari. Luce, acqua e gas sono inesistenti, così come i bagni che, quando ci sono, definire fatiscenti è poco. Queste persone, la cui età media è di 31 anni e che provengono soprattutto da Mali, Ghana, Senegal, Nigeria, Guinea Conakri, Gambia, Costa d’Avorio eTogo, per il mondo sono degli invisibili: non hanno diritti né tutele, sono alle dipendenze dei caporali, cioè la manovalanza mafiosa, dai quali vengono ingaggiati per 2 o 3 euro l’ora, per 10-12 ore al giorno.

“A Rignano – prosegue Herve – venivano le televisioni da tutto il mondo: quella francese, quella spagnola, la BBC, la CNN…: l’immagine che ne scaturiva era molto negativa per il nostro Made in Italy. Ma il nostro intento non era solo quello di denunciare, volevamo anche essere propositivi, creare opportunità di lavoro nel rispetto della legalità, impegnarci per costruire percorsi di integrazione nel tessuto sociale autoctono: la struttura che avevamo immaginato avrebbe dovuto costituire solo la tappa intermedia verso la piena inclusione nella realtà locale che peraltro, finora, ha dimostrato buone capacità di accoglienza”.

È così che nel giugno del 2016 questo sogno ha cominciato a prendere forma, grazie ad una convenzione con la Regione Puglia per l’affidamento in concessione, a titolo gratuito, dell’Azienda Agricola di proprietà regionale “Fortore” ed ha potuto concretizzarsi soprattutto per la determinazione di Stefano Fumarolo, un funzionario regionale  giovane e preparato, in prima linea nella difesa dei più deboli e nel contrasto delle attività mafiose in città e in regione, prematuramente scomparso nell’aprile 2017, all’età di soli 38 anni. 

Stefano non ha potuto assistere all’inaugurazione della sua creatura, ma da lì a poco ha visto la luce Casa Sankara,con il posizionamento di moduli abitativi che hanno tolto 500 persone, tra cui numerose famiglie, dalle tende e da altre strutture precarie. E su quei terreni si è iniziato a coltivare il pomodoro, l’oro rosso del Salento, curandone la filiera dalla semina al raccolto, dalla trasformazione alla vendita.

Casa Sankara prende il suo nome da Thomas Sankara, rivoluzionario africano divenuto Presidente dell’Alto Volta, di cui cambiò il nome in Burkina Faso che significa “Terra del popolo dalla schiena diritta”  e si impegnò a eliminare la povertà attraverso un vasto programma di riforme sociali a favore dei più poveri.  Il suo rifiuto di pagare il debito estero dell’epoca coloniale e il suo tentativo di rendere il Burkina Faso autosufficiente e libero da importazioni forzate, gli attirò le antipatie di USA, Francia e Gran Bretagna che organizzarono un colpo di Stato nel quale il giovane Presidente venne assassinato all’età di 38 anni per mano del suo vice Blaise Campaoré. Sankara rinunciò ad ogni privilegio, tanto che al momento della morte, possedeva solo un piccolo conto in banca di circa 150 dollari, una chitarra e la casa in cui era cresciuto.

I pomodori pelati di Casa Sankara, con l’etichetta “R’Accolto, la terra della Libertà” sono in vendita nei supermercati e negli ipermercati Coop. 

“Le finalità di Casa Sankara – chiosa Herve – non si riducono, ovviamente, alla produzione del pomodoro, ma si prefiggono anche altri obiettivi quali: favorire l’integrazione e l’inclusione sociale, tramite appositi percorsi e la costruzione di reti solidali.  Si punta inoltre ad accrescere la consapevolezza dei diritti di cittadinanza e dei lavoratori attraverso il supporto di attività di tutela sindacale e sociale; qui tutti vengono assunti e stipendiati con regolare contratto e con il versamento dei relativi contributi.  Vogliamo inoltre offrire opportunità di lavoro per i nostri ragazzi anche in altre regioni italiane; recentemente abbiamo inviato un gruppo in Trentino, per la raccolta dell’uva, sempre nel rispetto della legalità. Per noi   le regole sono la normalità e non l’eccezione e per questo perseguiamo la lotta al caporalato e l’uscita dai ghetti della provincia di Foggia. Ci impegniamo anche a svolgere attività socio-legale con supporto e accompagnamento ai servizi sul territorio di persone migranti tramite anche l’apporto della mediazione interculturale. Promoviamo anche   un’accoglienza dignitosa, combattendo per eliminare forme di razzismo e di intolleranza per tutti coloro che volessero affittare una casa o chiedere il rispetto dei propri diritti, fornendo anche assistenza agli “invisibili” nel disbrigo delle pratiche burocratiche e nella tutela della loro salute.

Educhiamo però anche tutti, attraverso l’impegno dei volontari; ,  a  sottostare ai doveri imposti dalla legge 

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Questo blog nasce dall’incontro di tre persone emigrate volontariamente in età adulta dall’Italia in Svizzera e che in questo Paese hanno realizzato esperienze diverse in vari ambiti lavorativi e culturali. 

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