Clandestino

Le osservazioni che seguono sono riferite specificamente alla realtà italiana ma in larga misura generalizzabili, con gli opportuni adattamenti, alla lingua e alla realtà dei vari Paesi.

L’etimologia di questa parola rimanda al latino: all’avverbio clam che significa di nascosto, segretamente, e al sostantivo dies, giorno.

Il clandestino, dunque, è qualcuno che si nasconde alla luce del giorno, che agisce nell’ombra e già questo rimanda a   trame oscure, illecite.

Il pregiudizio xenofobo designa nella pratica odierna come clandestini tutti coloro che approdano in Italia senza essere già in possesso di un regolare permesso di soggiorno.

Il guaio è che questo termine ha fatto breccia nel linguaggio giornalistico e nella lingua di tutti giorni in modo da alimentare, anche inconsciamente, una percezione di negatività verso l’intero fenomeno migratorio.

Nel linguaggio giuridico non esiste il termine clandestino, che infatti non è presente in alcun testo di legge.

Chiunque si presenti alle frontiere di un Paese che riconosce la Convenzione di Ginevra del 1951, del resto, avrebbe diritto di presentare richiesta d’asilo o di protezione internazionale anche se le illecite ma diffuse pratiche di respingimento alle frontiere violano quotidianamente questo principio un po’ in tutto il mondo.

Chi varca le frontiere in modo “illegale” e spesso mettendo a repentaglio la propria vita lo fa perché, pur essendo spinto da bisogni vitali, non ha mezzi legali e sicuri per entrare in un Paese in cui far valere i propri diritti.

Chi non viene arbitrariamente respinto alle frontiere può dunque presentare istanza per essere accolto nel Paese di approdo.

Qualora questa istanza venga respinta, l’immigrato riceve un decreto di espulsione che, come sappiamo, spesso non può trovare immediata attuazione; chi rimane lo stesso nel Paese dopo il rifiuto di una qualsiasi forma di accoglienza diventa un “illegale” privo di ogni forma di assistenza e spesso però trova occupazioni sottopagate e al nero contribuendo da sfruttato al benessere del Paese.

Nei casi peggiori si dedica ad attività esplicitamente illecite o diventa uno strumento della criminalità organizzata. 

Chiaramente questa situazione è problematica e richiede soluzioni che non possono certo consistere nella criminalizzazione in blocco degli immigrati a partire dalle parole con cui li definiamo.

In molti casi esistono le condizioni per una regolarizzazione di questi sans papiers sottraendoli allo sfruttamento o a tentazioni di attività illegali e sferrando in tal modo anche un duro colpo alla fiorente economia illegale. Tale riconoscimento arrecherebbe in sostanza un evidente vantaggio al Paese di accoglienza in termini economici e di legalità

Cambiare le parole in questo e in altri casi non basta certo per cambiare la realtà ma aiuta  a comprenderla meglio e a dotarsi di strumenti anche concettuali per affrontarla proficuamente.

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Questo blog nasce dall’incontro di tre persone emigrate volontariamente in età adulta dall’Italia in Svizzera e che in questo Paese hanno realizzato esperienze diverse in vari ambiti lavorativi e culturali. 

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