Crisi climatica: se anche la scienza si mettesse a raccontare storie?

Crescono le voci a favore dell’ambiente, da paese in paese, da città in città. Recentemente sono state sotto gli occhi di tutte e tutti le manifestazioni di giovani (e non solo) a Milano con Greta Thunberg. Ma anche in Germania. O in Svizzera.

Non tutti, però, condividono le preoccupazioni ambientali sul cambiamento climatico. I moniti della scienza sul fatto che il punto di non ritorno per salvare il nostro Pianete è vicino – vicinissimo – non fanno presa. Sono anzi inascoltati. Non solo dal mondo della politica, dove i gruppi di lobby e gli interessi di parte rallentano, ignorano e sono incapaci di trovare accordi volti a ridurre, in modo ragionevole, il CO2 nell’atmosfera e a contenere l’aumento della temperatura al di sotto di 1,5 gradi.

Secondo un sondaggio di YouGov, condotto tra luglio e agosto 2020, il 21% degli indonesiani e il 19% degli statunitensi ha detto che il cambiamento climatico non è reale o che gli esseri umani non ne sono responsabili. Il dato scende considerevolmente all’8% in Germania e al 6% in Italia ma anche in questi Paesi c’è comunque circa un 6% della popolazione che nega il cambiamento climatico.

Come sensibilizzare queste persone al rispetto per l’ambiente?

Nel 2021 un gruppo di ricercatori guidati da Paul J. Ferraro, professore della Hopkins University ha pubblicato i risultati di un esperimento condotto coinvolgendo circa 1.200 persone in un evento agricolo nel Delaware. Attraverso un’asta a prezzo casuale, i ricercatori hanno cercato di misurare quanto i partecipanti erano disposti a pagare per prodotti che riducono l’inquinamento da nutrienti. Prima che le persone potessero acquistare i prodotti, un gruppo ha guardato un video con fatti scientifici e l’altro gruppo una storia sull’inquinamento da nutrienti. A questo secondo gruppo è stata fatta vedere la storia vera della morte di un uomo del posto e morto dopo aver mangiato molluschi contaminati. La connessione tra il decesso dell’uomo e l’assunzione di molluschi contaminati era quindi plausibile ma non scientificamente provata. Alle persone incluse nel primo gruppo era stato spiegato, ricorrendo a dati e spiegazioni scientifiche, l’impatto dell’inquinamento da nutrienti sugli ecosistemi e sulle comunità circostanti. Dopo aver visto i video, tutti i partecipanti hanno avuto la possibilità di acquistare prodotti che costavano meno di 10 dollari e utili per ridurre il deflusso delle acque piovane: fertilizzanti, kit per il test del suolo, biochar e tubi di irrigazione. “Dopo aver sentito una storia avvincente legata all’inquinamento in cui un uomo è morto, le persone sono maggiormente propense a pagare di più per l’acquisto di prodotti rispettosi dell’ambiente, rispetto a quanto fanno dopo aver sentito fatti scientifici sull’inquinamento dell’acqua”.

Quindi? Basta con il presentare numeri e centigradi; meglio raccontare storie di quotidiano abuso ambientale per salvare il nostro pianeta dalla catastrofe?

Lo studio, come gli stessi autori riconoscono, necessita di essere integrato da altre ricerche e il controllo di tutte le variabili in gioco. A partire dal fatto che l’analisi guidata da Paul J. Ferraro ha mostrato come lo storytelling funzioni molto meglio nel caso di un democratico scettico del cambiamento climatico, mentre ha minor potere persuasivo se ad ascoltare la storia è un repubblicano scettico del cambiamento climatico… Ci sono fasce delle popolazione per le quali raccontare storie è più persuasivo rispetto alla presentazione di centigradi sul termometro terrestre e centimetri dei mari che si innalzano?

Inoltre, il lavoro del professo Ferraro e del suo team punta l’indice su una questione aperta e sempre più dibattuta tra chi si occupa di scienza: fino a che punto gli scienziati devono mettersi a parlare attraverso storie?

Se da un lato, cresce la richiesta che la società civile rivolge a medici, ricercatori, donne e uomini esperti di biologia, virologia e altre in materie scientifiche, affinché partecipino in modo attivo a comunicare la scienza – l’abbiamo visto nei mesi di pandemia – dall’altro lato si pone il problema della verificabilità di fonti e contenuti. Insomma, le fake-news, le bufale su internet. Una storia è difficile da verificare e il rischio che ci si improvvisi scienziati e si raccontino “storielle” è forse una preoccupazione da prendere seriamente in considerazione.

Qualsiasi buon e serio ricercatore sa bene che una verità scientifica scaturisce dal confronto (e talvolta scontro) tra gli scienziati ed è il risultato di un processo nel quale la ‘verità’ è ciò che sopravvive alla selezione naturale della verifica sperimentale e che resta vera fin quando è condivisa da tutti, cioè fino a prova contraria. Come possono gli scienziati, in TV o facendo un post sui social media, raccontarci di un’inondazione mortale o un incendio boschivo e dire definitivamente che le morti sono state causate dal cambiamento climatico? Oggi la scienza ci parla attraverso un linguaggio fatto di numeri, statistiche, grafici, percentuali. Semplificati, certo, per essere compresi da tutti, ma accurati e non banalizzati. Raccontare la scienza ricorrendo a storie è rischioso, perché il confine tra storytelling e fake news è scivoloso, anche quando le storie hanno attinenza con i dati scientifici e non li contraddicono.

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Questo blog nasce dall’incontro di tre persone emigrate volontariamente in età adulta dall’Italia in Svizzera e che in questo Paese hanno realizzato esperienze diverse in vari ambiti lavorativi e culturali. 

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