Da sapersi: quando la comunicazione medica può salvare vite

Recentemente, ho dovuto eseguire alcuni esami in un ospedale belga, per un problema alla mani. Tutto è iniziato con una visita presso il servizio di reumatologia, la dottoressa che mi ha visitato ha concluso che il problema non era di sua pertinenza, così, passando per radiologia, ho ricevuto una diagnosi da dermatologia. Come? Senza vedere alcun medico dermatologo. La reumatologa ha condiviso alcune foto delle mie mani – foto scattate dal mio vecchio smartphone – al collega, il quale ha formulato la diagnosi e la cura. Per email. Salvo poi rivelarsi dubbia.

Ogni anno negli ospedali del Belgio si verificano quasi 20mila errori medici, responsabili di qualche cosa come 2’000 decessi, e vengono presentate circa 2’000 denunce di varia natura, da diagnosi errate, a farmaci sbagliati, a errori durante l’operazione, a infezioni che si sono verificate al pronto soccorso. Quasi il 90% di queste denuncia riguarda casi in contesti ospedalieri. Il reparto più coinvolto è ortopedia (oltre un terzo), ma la lista delle specialità mediche coinvolte è lunga e riguarda, per esempio, varie operazioni dell’apparato digestivo, quello urogenitale e cardiovascolare.

Più a sud, in Italia, la malasanità è la ragione per la quale ogni anno ci sono circa 300mila cause contro medici e strutture sanitarie, con notevoli differenze tra le regioni: quasi la metà delle denunce per errore sanitario avviene nelle regioni meridionali e nelle isole.

Tra il Belgio e l’Italia, c’è la Svizzera. Anche qui gli errori medici sono numerosi al punto che un paziente su 10 che entra in un ospedale elvetico vede peggiorate le proprie condizioni a causa di errori medici, invece di essere curato, e quattro pazienti muoiono ogni giorno nell’assistenza ospedaliera svizzera. Di questo ho potuto recentemente parlare con Annegret Hannawa, professoressa presso la Facoltà di comunicazione, cultura e società dell’USI, fondatrice e direttrice del Center for the Advancement of Healthcare Quality and Patient Safety (CAHQS) un centro di competenza, leader mondiale, per la promozione della qualità di cure e sicurezza dei pazienti e che ha sede presso l’Università della Svizzera italiana.

E’ un quadro allarmante, del quale ha discusso anche il quinto Summit ministeriale sulla sicurezza dei pazienti, che si è svolto tra il 23 e il 24 febbraio a Montreux e che ha raccolto oltre 600 delegazioni mondiali per discutere di come migliorare la sicurezza dei pazienti in contesti e in Paesi diversi, partendo dalle migliori pratiche e riflettendo sulle storie di successo. E cosa rende queste storie tali? L’anello vincente sta in un acronimo: SACCIA, ovvero Sufficienza, Accuratezza, Chiarezza, Contestualizzazione e Adattamento a livello interpersonale, competenze – identificate e mappate per la prima volta proprio dal lavoro scientifico della professoressa Hannawa – che sostengono una comunicazione sicura quindi in grado di limitare i danni per i pazienti. 

Infatti, fino all’80% degli errori medici è dovuto a una comunicazione poco accurata – ad esempio riguarda la correttezza di un’informazione da medico a paziente sull’assunzione di medicinale ma anche il modo in cui ci si parla tra colleghi su diagnosi e cure; i medici interagiscono poco con il resto del personale ospedaliero e i malintesi non sono chiariti. Inoltre nelle sue diverse osservazioni di contesti medici, Hannawa ha verificato come certe informazioni siano sminuite o esagerate, con conseguenze negative per la sicurezza e salute del paziente. Ugualmente accade che i medici manchino di comunicare l’urgenza di un caso oppure che le gerarchie all’intento delle strutture ospedaliere siano tali da comportare una totale mancanza di adattamento dei professionisti, a livello interpersonale, quindi nelle relazioni con colleghi e altri operatori sanitari.

Purtroppo non tutti i pazienti sono in grado di valutare le competenze SACCIA dei medici e del personale curante, vuoi perché non siamo tutto scienziati e esperti del settore, vuoi perché nel momento del dolore, forse l’ultima cosa a cui vogliamo prestare attenzione è quello che avviene fuori dai noi, apartire dal modo in cui specialisti e infermieri “si parlano”.

Ma nei giornali, sul web, tramite social, possiamo: possiamo scrivere di malasanità, denunciare gli errori e far conoscere l’esistenza di modelli alternativi che vorremmo, da pazienti, fossero attuati negli ospedali. Ci sono in gioco vite umane. Tante. Persino in Svizzera, tra i Paesi più all’avanguardia nel campo medico, «parliamo di almeno 60mila gli incidenti medici e 1500 i decessi che si potrebbero prevenire annualmente nel sistema sanitario svizzero con una comunicazione adeguata tra gli operatori sanitari e i malati (o i cari di chi è ricoverato)» ci spiega Annegret Hannawa.

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Questo blog nasce dall’incontro di tre persone emigrate volontariamente in età adulta dall’Italia in Svizzera e che in questo Paese hanno realizzato esperienze diverse in vari ambiti lavorativi e culturali. 

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