Di morte e di libertà: “la vita si sconta morendo”

Si nasce e si muore. Non abbiamo scelto noi di venire al mondo e non sappiamo quando ce ne andremo. La nostra libertà è l’oggi. Essa prende forma nel gustare appieno quest’occasione unica e irripetibile di essere qui, su questa Terra e, in certi casi, di scegliere che si è vissuto abbastanza. Tornare a essere nulla.

E’ questo – crudo e temerario – uno dei messaggi centrali raccolti nel saggio “La vita si sconta morendo“, scritto da Giorgio Macellari, chirurgo senologo e dottore di Filosofia, membro anche del Comitato Etico della Fondazione Umberto Veronesi.

Pubblicato da PSB Pragma Society Books, scritto con un linguaggio diretto ma soppesato, chiaro e disilluso, il libro di Macellari ripercorre anzitutto il rapporto dell’Occidente con la morte come concetto metafisico, ricordando al lettore le diverse rappresentazioni che il regno di Àtropo ha avuto nella storia dell’Umanità – immagini che hanno in comune la paura delle fine nonché la curiosità per un possibile “dopo”. Magia, riti e rituali, credi religiosi: tutto ciò ha legato generazioni di donne e uomini, dal periodo Preistorico agli anni più recenti, come ci ricorda l’autore nell’approfondito excursus storico presentato nella pubblicazione.

Nella prima parte del libro, Macellari dà prova di conoscere la Storia del rapporto “umano” con la morte e la sua concettualizzazione filosofica nel mondo greco e romano fino via via ai nostri giorni, che hanno visto, da un lato, una laicizzazione crescente della morte e, dall’altro, nuove forme e luoghi per morire o per non morire – dal momento che, scrive l’autore, “la vita si è allungata …. il corpo è diventato tempio d’una nuova idolatria e per mantenerlo efficiente s’investono energie, tempo, soldi”. Solo che la morte non la si può cancellare.

Tuttavia, il paradosso dei nostri giorni è che non possiamo nemmeno più morire “in pace”, dal momento che il nostro lasciare la vita è sempre più un affare collettivo e meno privato. La vita termina di frequente in ospedali o centri di cura, dove il contesto familiare è spodestato, allontanato. E la decisione stessa di prolungare la vita non è volere del singolo ma del personale medico.

La seconda parte del saggio di Macellari è dedicata proprio al rapporto medico-paziente e al tema dell’eutanasia e del suicidio assistito. Questi, riconosce Macellari, sono termini pericolosi da maneggiare ma, se usati nella loro accezione originaria e utilizzo proprio, essi implicano da parte del medico accettare “l’eventualità di promuovere le azioni che il paziente chiede per porre termine a sofferenze ritenute intollerabili, anche se con un’anticipazione prevista della morte” (nel caso dell’eutanasia) e essere consapevoli che “il male morale dell’uccidere sta non nell’uccidere, ma nell’uccidere qualcuno senza il suo consenso” (nel caso del suicidio assistito).

Cercare significati altri – rispetto a quelli biologici – nel morire equivale a perdersi nei labirinti dell’Assurdo, abbandonandosi al brodo primordiale dell’irrazionalità e, quindi, violentare quello che è l’intelletto razionale dell’uomo, argomenta il chirurgo, che nel suo libro cerca di confutare tutte le principali posizione sull’aldilà sostenute da chi aderisce a credi religiosi, argomenta perché parlare di morte ai bambini e, da ultimo, invita a guardare la morte con la sua faccia. E’ questa la nostra libertà, scrive Macellari, l’unico modo che ci è dato per districarci dalla servitù d’indottrinamenti sacramentare, desueti espedienti di potere personale: insomma, riprendendo le parole di Michel de Montaigne, “Chi impara a morire, disimpara a servire”. La consapevolezza il nostro tempo è limitato diventa così il primo argine contro ogni tentativo di svalutare la vita e la nostra libertà di scelta.

Nota. Quando Giorgio mi ha inviato il suo libro, ho avuto un sentimento di terrore nel prenderlo in mano. Angoscia delle pene e dei dolori che pensavo sarebbero trapelate dalle parole di un chirurgo che per la maggior parte della sua vita si è confrontato quotidianamente con la morte. Angoscia per sentirmi sussurrare all’orecchio: cara lettrice, “dopo” non c’è nulla. Punto.

Ma “La vita si sconta morendo” non è un libro di tristezza. Piuttosto, a me sembra possa dirsi un saggio che celebra l’umanità. Che lo legga un credente, il quale terminerà la lettura in totale disaccordo con Macellari sulla vita post-terrena; che lo legga un agnostico, il quale troverà conferma delle sue posizioni nel saggio: ecco, in entrambi i casi, a uscirne vincente è l’essere umano, unico tra le specie viventi a sapere di dover morire e unico a chiedersi perché.

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