La maternità vista dal padre

Nel precedente articolo sulla gravidanza ci siamo soffermati sulla complessità e profondità dei cambiamenti interni ed esterni relativi alla donna, ma cosa accade al futuro padre?

Devo dire che una lunga tradizione storico-culturale ha collocato la figura paterna in un ruolo marginale, come colui che dà protezione e sicurezza alla compagna affinché questa possa svolgere con serenità e fiducia la sua funzione allevante.

Anche in ambito teorico sono piuttosto scarsi riferimenti al padre nello sviluppo della personalità del bambino. Non si parla di lui come figura significativa e diventa tale solo in quanto sostituto materno in caso in cui questa è impossibilitata ad accudire il figlio o è assente. Di conseguenza, le sue capacità sono considerate valide solo all’interno di un costrutto di “maternage”, come se non fosse in grado di proteggere il figlio in una dimensione di paternità. In altre parole, non gli viene riconosciuto un istinto genitoriale biologicamente determinato, ma solo un desiderio di paternità acquisto. Vi ricordate la figura del “mammo” interpretata magistralmente da Robin Williams in Mrs. Doubtfire?

Gli studi psicoanalitici si sono concentrati prevalentemente sulla relazione madre-figlio descrivendo questa come agente unico nell’allevare il piccolo nei primi anni di vita in virtù di un istinto materno naturale. Al padre viene attribuita la funzione di “terzo estraneo” che si inserisce nella diade simbiotica madre-bambino e solo più tardi interverrà in modo più diretto quando questi sarà in grado di apprendere le norme comportamentali e avrà appreso un minimo di linguaggio. In ogni caso, il rapporto paterno sembra subordinato a quello materno con un carattere di non indispensabilità e meno impegnativo.

L’approccio sociologico studia la figura paterna nei suoi aspetti esteriori, di colui che dà il proprio nome al bambino, che provvede al suo mantenimento, che lo mette in contatto con l’ambiente sociale. Entrambe le visioni enfatizzano l’aspetto simbolico della paternità contribuendo a delineare un’ immagine astratta e senza contorni.

Rispetto alla mole di ricerche che si è occupata della relazione madre – bambino, quelle relative al padre sono di gran lunga più recenti e meno numerose, ma, a mio parere, ugualmente interessanti e stimolanti.

Cominciamo con la definizione di padre, tra le numerose che sono circolate nella società: da padre-padrone a padre-assente, da “paternità liquida”a mammo, scegliamo quella di padre coinvolto, inteso come colui che si interroga sui cambiamenti della propria identità maschile a seguito della nascente genitorialità, che vuole entrare in un rapporto diretto con il bambino prendendosene cura, standogli vicino, costruendo una relazione importante fin dalla nascita.

Un uomo che fa questo, cioè, che presta maggiore ascolto alle proprie dinamiche interiori, che si rapporta al mondo esterno in modo nuovo, che sa ripensare al ruolo di genitori andando oltre quelli tradizionali, non è cosa da poco, perché si tratta di riconoscere ed accogliere le profonde trasformazioni che la famiglia ha vissuto in questi anni, il diverso modo di vivere le relazioni uomo-donna, la crisi dei valori femminili e del ruolo della donna nella famiglia.

Non solo, ma il recupero della dimensione interna della paternità costituisce per l’uomo un compito sia emotivo che cognitivo molto più complesso di quanto non lo sia la maternità per la donna, perché culturalmente gli uomini sono poco propensi a parlare di sentimenti e a soffermarsi sugli aspetti emozionali, modalità riconosciute al mondo femminile, mentre quello maschile si esprime più in termini concreti e pragmatici.

In uno dei primi studi longitudinali condotto per esplorare i vissuti dei futuri genitori, nel descrivere le motivazioni alla base del desiderio di paternità, gli uomini intervistati parlarono di “desidero d’immortalità”, “ bisogno di dare un significato alla vita”, “ atto creativo che rimane dopo la morte”. Tutti affermarono che diventare genitori e un processo graduale frutto di una maturazione della relazione di coppia che facilita un maggiore impegno personale e coinvolgimento emotivo.

Indubbiamente questi atteggiamenti costituiscono un’ importante presa di distanza dalla tradizionale rappresentazione della figura paterna con la conseguenza che l’uomo ha imparato ad instaurare un rapporto più intimo con i figli, è più partecipe in famiglia e maggiormente capace di un dialogo aperto e spontaneo.

Ma veniamo all’annuncio della gravidanza, cosa comporta per l’uomo? Come per la donna, le reazioni sono un succedersi di emozioni molto intense cui si accompagnano preoccupazioni e timori per i cambiamenti che il bambino porterà, soprattutto quello di non essere in grado di assumere i nuovi compiti di padre e di non essere all’altezza del ruolo. Oppure si insinua la preoccupazione per la salute del bambino e della madre di fronte alla quale ci si sente impotenti ed esclusi. A proposito di esclusione, non è insolito che sentimenti di invidia e gelosia facciano la loro comparsa nel corso della gravidanza, spesso senza un adeguato riconoscimento ed elaborazione, proprio a causa della scarsa attitudine dell’uomo ad entrare in contatto con le proprie emozioni.

L’invidia riguarda i mutamenti fisici attraverso i quali la donna esercita il suo potere generativo; la crescita di un altro essere umano dentro di sé è un evento che coinvolge la donna in modo intimo e profondo e che l’uomo può vivere solo in maniera indiretta generando un senso di esclusione e gelosia che potrebbe manifestarsi anche dopo la nascita, quando il bambino polarizzerà su di sé tutte le attenzioni.

Una nota curiosa che è emersa da diversi studi e di cui si parla poco è la “sindrome di couvade”, una sintomatologia che, a partire dal 3° mese, compare nell’uomo con disturbi quali ansietà, nervosismo, insonnia, nausea, mal di testa che sembrano acuirsi in prossimità del parto per poi scomparire subito dopo. Gli uomini, in genere, non sono consapevoli del nesso tra queste manifestazioni somatiche e l’ansia per l’imminente paternità. La sindrome di couvade è stata considerata una sorta di rito di passaggio verso un cambiamento determinante nella vita di un uomo, dalla duplice funzione di segnalare la vulnerabilità maschile e di esprimere vicinanza ed identificazione con la moglie.

Al momento della nascita, la relazione padre-neonato prende forma attraverso vari modi di interagire. Si parla di relazione diretta, cioè l’insieme di scambi e contatti che il padre rivolge al figlio in prima persona; l’influenza indiretta che esercita sul figlio mediante il sostegno alla madre, la relazione coniugale, il sostentamento materiale. Infine, la relazione traslata, quella mediata dalle parole, atteggiamenti, espressioni della madre secondo cui l’accesso al paterno avviene attraverso le parole del materno.

Sull’interazione diretta, alcuni ricercatori hanno rilevato il carattere più “fisico e dinamico” rispetto a quella materna; il padre è colui che tende a sollevare il bambino in aria, gesto che simboleggia apertura verso l’esterno suscitando spesso ansia e timore nella madre, la quale, invece interagisce richiamando maggiormente l’attenzione visiva.

Il bambino, dal canto suo, fin dalle prime settimane, sembra distinguere la figura materna da quella paterna manifestando reazioni specifiche, occhi più aperti, sguardo “splendente”, nella tenuta in braccio (Holding) sente il padre più brusco, aggressivo, distante, anche nello sviluppo cognitivo e psicosessuale sono state individuate significative differenze rispetto al contributo materno.

Tutto sembra, dunque, indicare che il padre sia in grado di svolgere una funzione ben più determinante e significativa del ruolo marginale e limitato riconosciutogli fino ad oggi. E non è solo questione di dare il biberon o cambiare pannolini che pure sono pratiche molto più diffuse tra gli uomini, ma di entrare a gamba tesa come coprotagonista nello sviluppo psicoaffettivo del bambino, dove consapevolezza, dialogo e cooperazione con la compagna costituiscono gli ingredienti imprescindibili per un’esperienza che ha tutto il sapore di un’avventura.

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Questo blog nasce dall’incontro di tre persone emigrate volontariamente in età adulta dall’Italia in Svizzera e che in questo Paese hanno realizzato esperienze diverse in vari ambiti lavorativi e culturali. 

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