La piazza finanziaria protegge gli amici di Putin

di Dominik Gross, Responsabile “Politica Fiscale” per Alliance Sud

Con la guerra in Ucraina, la Svizzera ufficiale ha palesato le contraddizioni tra i principi della sua politica estera e i suoi interessi in materia di politica economica estera. È finalmente giunto il momento di superarle.

L’invasione russa in Ucraina ha portato alla luce le principali debolezze della politica estera elvetica. Come già avvenuto nei mesi precedenti, quando le tensioni tra Russia, Ucraina e NATO continuavano a crescere, il Consiglio federale ha recitato, durante la prima settimana di guerra, il ruolo che corrisponde all’immagine che la Svizzera ufficiale dà nel mondo in materia di politica estera. Si tratta in particolare dei principi di neutralità, di mediazione diplomatica tra le parti in conflitto (“buoni uffici”) e dell’insistenza sul rispetto dei diritti umani e dei popoli. Il ministro degli Affari esteri e presidente della Confederazione Ignazio Cassis ha così proposto ai belligeranti un incontro a Ginevra per intavolare dei negoziati di pace. Nel frattempo il governo ucraino ha però preferito rivolgersi a Israele. E al tempo stesso, i belligeranti si parlano in Bielorussia, vicino alla frontiera ucraina. Il nostro Paese non ha nessun ruolo. È dunque lecito pensare che i buoni uffici della Svizzera interessino attualmente soprattutto la Svizzera.

Nell’impiccio tra UE/USA e la lobby della piazza finanziaria
Dunque, mentre la diplomazia svizzera lavorava per le persone presenti nelle tribune in queste ultime settimane e questi ultimi mesi, il Consiglio federale ha impiegato quattro lunghe giornate caotiche per aderire completamente alle sanzioni dell’Unione europea contro la Russia. Quattro giorni durante i quali i russi facoltosi, vicini al regime, hanno potuto riorganizzare le loro costruzioni transnazionali di società, investimenti e conti, nelle quali alcune banche svizzere e altri prestatori di servizi finanziari svolgono (o hanno svolto) un ruolo, in modo tale che non possano più essere colpite dalle sanzioni. Ad ogni modo, la NZZ riferisce come sia molto grande, vista dall’interno della piazza finanziaria, la frenesia negli affari russi. La maniera in cui le banche reagiscono alle sanzioni sembra essere una questione strategica: alcune puntano su un’applicazione estremamente restrittiva per ridurre al minimo i rischi giuridici, considerevoli in questo contesto; altre cercano invece di essere il meno trasparenti possibile, per rendersi ancor più attrattive agli occhi dei clienti russi. È ipotizzabile che la pressione politica sul Consiglio federale, esercitata dall’UE e dagli Stati Uniti affinché prendesse delle sanzioni, ha dovuto superare quella esercitata dai rappresentanti politici della piazza finanziaria per far sì che il nostro governo, a maggioranza di destra, si decidesse a prendere questa misura. 

Non c’è però alcuna garanzia che le sanzioni finanziarie contro i ricchi russi siano davvero qualcosa in più di una politica simbolica. Le strutture offshore con le quali i ricchi del mondo intero gestiscono oggi il loro denaro sono transnazionali e così intrecciate l’una nell’altra che spesso risulta quasi impossibile, per le autorità, attribuire chiaramente dei fondi patrimoniali a delle persone precise. Il New York Times ha così riferito che Vladimir Putin, sanzionato dagli Stati Uniti e dalla Svizzera, era probabilmente il più ricco dei russi, ma che nessuno sapeva dove si trovava esattamente il suo denaro. Persino il presidente delle Confederazione Cassis ha dovuto ammettere, alcuni giorni fa, che non si sapeva se Putin avesse a disposizione dei conti in Svizzera. L’applicazione delle sanzioni si scontra qui con il modello commerciale tradizionale della piazza finanziaria svizzera, che si basa sulle camere oscure piuttosto che sulla trasparenza. Le banche e i consulenti finanziari continuano a proporre, in Svizzera, dei servizi che favoriscono l’evasione fiscale, il riciclaggio di denaro sporco, la corruzione e gli affari criminali. È ciò che hanno mostrato recentemente – come in precedenza numerose altre fughe di notizie – i “Suisse Secrets”; una vasta collezione di dati provenienti dall’amministrazione patrimoniale globale di Credit Suisse (CS), che è stata trasmessa alla Süddeutsche Zeitung da un whistleblower. Nessuno ha saputo dare una risposta precisa alla seguente domanda: a quanto ammontano le somme di denaro russo gestite dalle banche in Svizzera? La NZZ ha scritto tra i 50 e i 150 miliardi di franchi. Già solo quest’ampia differenza tra i due valori è rivelatrice dell’assenza di trasparenza della nostra piazza finanziaria. Queste stime non considerano in ogni caso i capitali dei russi domiciliati in Svizzera. La somma degli averi di questi residenti dovrebbe situarsi nello stesso ordine di grandezza di quella degli stranieri. Un domicilio in Svizzera è infatti molto interessante per i ricchi, anche in termini di gestione patrimoniale, poiché essi beneficiano della protezione ancora molto rigida del segreto bancario nazionale. La “Goldküste” zurighese, le stazioni alpine come Gstaad o St. Moritz, nonché le rive dei laghi di Zugo e di Ginevra sono la prova che i ricchi russi vivono volentieri in Svizzera, anche se magari solo parzialmente.

Una banca all’origine d’un nuovo scandalo
Da parte sua, CS non ha fatto solamente brutte figure sulla stampa di queste ultime settimane con i “Suisse Secrets”. Il Financial Times ha rivelato ieri che la grande banca svizzera negli ultimi giorni aveva domandato a degli hedge fund e ad altri investitori, sotto l’effetto delle sanzioni, di distruggere dei documenti di alcuni clienti russi sanzionati. La banca aveva accordato loro dei crediti per i quali, a fungere da garanzia, c’erano yacht, beni immobiliari e altri “giocattoli” simili. Alla fine del 2021, la banca aveva “trasferito” una parte di questi rischi di credito ai relativi hedge fund. Si suppone che, con questa esortazione, CS abbia voluto aiutare i clienti russi a sfuggire alle sanzioni. Alla luce degli scandali che una delle principali banche svizzere ha prodotto quasi tutte le settimane in questi ultimi mesi, il principio di base della filosofia svizzera in materia di compliance, ossia l’autocontrollo delle banche sul rispetto del loro dovere di diligenza, sembra quasi uno scherzo. 

La reazione estremamente esitante del Consiglio federale di fronte allo scoppio della guerra in Ucraina, e il simultaneo comportamento commerciale molto sleale di una delle due grandi banche elvetiche, nuocciono alla reputazione della Svizzera e minacciano così anche la credibilità della sua politica estera. La scorsa settimana, il ministro degli Affari esteri Cassis ha giustificato ancora la rinuncia iniziale del Consiglio federale ad applicare le sanzioni dell’UE e degli Stati Uniti, sostenendo che si voleva tener aperta la via del dialogo con Putin. Scuse simili non sono una novità ma, contrariamente al mito, costituiscono la funzione reale della neutralità svizzera: essa rappresenta, specialmente in caso di conflitto, soprattutto una possibilità di (continuare a) fare degli affari con tutte le parti, piuttosto che permettere alla diplomazia di svolgere un vero ruolo di mediatore tra le parti in guerra.
L’affermazione di quest’ultima è sempre stata, ed è sempre, più facile da giustificare politicamente. È ciò che è successo durante la Seconda Guerra mondiale con la Germania nazista oppure negli anni ’80 del secolo scorso con l’aggiramento delle sanzioni economiche negli scambi con il Sudafrica dell’apartheid. Considerando i nuovi e drammatici grandi conflitti nel mondo, la Svizzera non sembra più potersi permettere, fino a nuovo avviso, una strategia di politica estera così ambigua. Il fatto che la Svizzera, dopo aver inizialmente rifiutato le sanzioni americane ed europee, le abbia finalmente adottate (o abbia dovuto farlo), è in ogni caso un segnale.

È necessaria un’inversione della politica estera
Il Consiglio federale e il Parlamento farebbero quindi bene a cogliere l’occasione data dalle crisi attuali per invertire il rapporto tra la politica estera e la politica economica estera della Svizzera: i valori fondamentali della politica estera svizzera non dovrebbero più servire da foglia di fico morale per i difficili interessi economici esteri. La pratica di quest’ultima dovrebbe invece orientarsi sui principi della prima. D’altronde la Svizzera s’è impegnata in favore di tale coerenza politica quando ha promesso, nel 2015, con tutti gli Stati membri dell’ONU, di attuare gli Obiettivi di sviluppo sostenibile dell’ONU, che sono quindi stati integrati nell’Agenda 2030. Quest’ultima si basa sul principio della coerenza politica per lo sviluppo sostenibile. In teoria, questo principio significa che nessun settore politico dovrebbe contraddire gli obiettivi d’un altro. 

A medio termine, come primo passo efficace verso una politica fiscale e finanziaria svizzera, coerente dal punto di vista del diritto internazionale e dei diritti umani, la Berna federale potrebbe aumentare la trasparenza delle costruzioni offshore. Per questo, è necessario un registro pubblico che indichi i proprietari effettivi di un conto bancario o di una società di comodo. A breve termine, il Consiglio federale deve mettere in piedi una task force che riunisca tutte le istituzioni federali interessate (Dipartimento federale delle finanze (DFF), Autorità federale di vigilanza sui mercati finanziari (FINMA), Ministero pubblico della Confederazione (MPC), Ufficio di comunicazione in materia di riciclaggio di denaro (MROS)). Essa potrebbe permettere la messa in atto effettiva delle sanzioni, esaminando le strutture patrimoniali reali delle persone sanzionate e stabilendo così un legame tra i nomi e i patrimoni. Altri Paesi hanno già deciso di costituire una task force simile, in particolare la Germania e gli Stati Uniti. 

Delle società più giuste, più ecologiche e più democratiche sono la miglior assicurazione contro i despoti brutali come Vladimir Putin. Una politica commerciale ed economica che favorisce l’equilibrio politico, distribuendo equamente le ricchezze, è a sua volta una condizione necessaria alla loro costruzione. La Svizzera, nel suo ruolo di centro finanziario e commerciale importante, dispone di leve efficaci su scala mondiale che le permettono di contribuire a degli sviluppi di questo tipo.

Traduzione di: Fabio Bossi 

(articolo pubblicato in tedesco e francese da Alliance Sud)

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