La preside che parla tedesco in Alto Adige e la questione del bilinguismo in Belgio

Alcuni giorni fa su diversi siti e giornali italiani è stata riportata una notizia riguardante una scuola elementare di Bolzano: a dare scandalo sono state le parole della preside dell’istituto, la quale a dichiarato l’intenzione di comunicare in tedesco durante i colloqui con i genitori.

Pioggia di critiche e polemiche: l’Alto Adige è regione italiana – per quanto autonoma – e quindi, perché mai non si parla italiano, appunto? 

Ho provato simpatia per i genitori che ignorano la lingua tedesca, sebben abbiamo scelto di farla imparare ai loro figli. Però, a conti fatti, sto dalla parte della preside.

E parlo anche per esperienza personale.

A quasi mille chilometri di distanza, in Belgio, nella una scuola internazionale frequentata dai miei figli, ogni settimana riceviamo una newsletter con le informazioni su quanto svolto in classe, sia in inglese (per il programma svolto in quella lingua) sia in francese o fiammingo, per le attività che si sono tenute in “lingua locale”. Praticamente, ogni settimana, mi devo barcamenare per comprendere cosa la docente di fiammingo abbia fatto in classe. Meno male che ci sono vari traduttori automatici online che mi sono di aiuto. 

Qualcuno potrebbe dire: “è un istituto internazionale, le comunicazioni della segretaria su rette e vacanze sono scritte in inglese, perché anche le narrazioni delle attività in classe non sono comunicate nella stessa lingua?”

Ognuno ha la propria posizione al riguardo; la mia è concorde a quella espressa dall’assessore provinciale dell’alto Adige, Philipp Achammer, che ha detto: “I genitori che iscrivono il loro figlio in una scuola di lingua tedesca devono poterlo sostenere durante l’iter scolastico, altrimenti tutto viene scaricato sulla scuola. ‘Mio figlio impari il tedesco, io invece no‘, non è un approccio valido”.

Io concordo con questa affermazione a tal punto che mi sono persino iscritta a un corso di fiammingo. Per ora sono in grado di dire giusto come mi chiamo e da dove vengo…

Qualche settimana fa anche le Fiandre avevano messo al centro del dibattito pubblico le conoscenze linguistiche, con la proposta di penalizzare economicamente i genitori con un background migratorio e là dove non essi si sforzassero di parlare con i proprio figli la lingua del luogo anche tra le mura domestiche. 

Non sono dell’idea che si debba ricorrere all’abolizione di sussidi vari – anche perché sappiamo che non di rado le famiglie con background migratorio di questi sussidi ne hanno bisogno. Tuttavia, che si debba in qualche modo sostenere l’apprendimento linguistico anche dei genitori e che l’integrazione dei figli passi anche attraverso l’integrazione di madri e padri .. ecco, su questo non ho alcun dubbio. 

In primo luogo, perché dedicarsi all’apprendimento – almeno di base – della lingua del luogo (o usata nella scuola) in cui sono immersi i proprio figli è una sorta di lezione di vita. Segnala ai ragazzi apertura e interesse nei confronti dell’altro, sia esso un popolo o un contesto scolastico… 

Inoltre, lingua e cultura vanno di pari passo. Attraverso il linguaggio comunichiamo valori, idee, tradizioni, costumi e storie e quindi lingue diverse ci forniscono piccoli indizi sugli altri e sulle culture degli altri. Per tanto, se i nostri figli frequentano una scuola in una lingua altra dall’italiano, come possiamo pensare di capire e apprezzare a fondo i contenuti che sono proposti nei programmi scolastici, se non li sappiamo leggere?

Ho potuto riflette ulteriormente sulla questione delle lingue, a partire dal bilinguismo, parlandone con Annalia Bodeo, ticinese, appassionata di lingue. Annalia è stata recentemente ammessa alla formazione come candidata alla carriera cooperazione internazionale della Confederazione Svizzera – questa formazione prevede due mesi a Berna, per poi essere inviata alla rappresentanza svizzera ad Amman, in Giordania per un anno e un esame finale di nuovo a Berna per poter proseguire la carriera nel Dipartimento degli Affari Esteri della Svizzera. Mi piace riportare quanto emerso nella nostra chiacchierata:

“Quando una persona riesce a parlare due o più lingue e entra in contatto con realtà linguistiche diverse è in grado di avvicinarsi “agli altri”, comprenderne il vissuto e la quotidianità che è costitutiva di molte nazioni (dalla Svizzera al Belgio, n.d.r.).” Per Annalia, l’apertura verso gli altri permette di relazionarsi con il mondo in modo più profondo ed è propedeutica al fine di diventa cittadini consapevoli del mondo, più sensibili e attenti agli altri e a quanto ci sta attorno.”

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Questo blog nasce dall’incontro di tre persone emigrate volontariamente in età adulta dall’Italia in Svizzera e che in questo Paese hanno realizzato esperienze diverse in vari ambiti lavorativi e culturali. 

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