L’ANSA che non c’è – e perché dovrebbe esserci

A circa sei mesi dal mio arrivo in Belgio ho iniziato a scrivere di cosa succede, come si vive, cosa va e cosa non funziona in questo Paese. Un anno circa è stato il tempo trascorso dal mio approdo a Zurigo fino al momento in cui ho accettato di collaborare con giornali locali di lingua italiana. Riconosco che dalla Svizzera interna prima, dal Belgio ora, cogliere pienamente l’arcobaleno di tematiche che colorano il quotidiano e le gradazioni dei problemi può rivelarsi un percorso in salita. Perché non tutto viene reso esplicito nei salotti delle politiche, in occasione di conferenze stampa o nei comunicati ai media. Ci sono di frequente molti “sotto-intesi”, che non sono affatto facile da comprende, tanto più se si lavora in un contesto linguistico e culturale “altro”.

Tuttavia, anche scrive dal Ticino e sul Ticino è stato più volte difficile, se non altro dal punto di vista emotivo. E ancora dopo quasi cinque anni, ogni volta che firmavo un articolo mi domandavo se fossi all’altezza del compito. A distanza di tempo e di chilometri, ho capito che il nocciolo del mio disagio era “semplice” eppure difficile da risolvere. Coglievo la complessità della realtà in cui vivevo e raccontarla comportava uno sforzo di sintesi non indifferente per rispondere al pieno alla responsabilità che sentivo verso il lettore: restituire un’immagine del Cantone “reale” e non proporre una descrizione fatta di stereotipi elvetici.

Non è facile raccontare di un Paese “altro”, farlo mentre si vive a casa di altri, e con l’impegno di scrivere notizie, storie e eventi che sono interessanti di per sé, non necessariamente per chi sta “a casa” soltanto!

È successo di provare solitudine di fronte a una massa di notizie da dipanare, e talvolta un senso di alienazione, estraniazione e smarrimento nel descrivere una società per la quale si è (talvolta si rimane, per anni) “lo straniero”. Eppure continuo a proporre reportage sui luoghi nel mondo in cui mi trovo a vivere e che non hanno nulla a che fare con la cittadinanza riportata sulla mia carta di identità.

Mi hanno chiesto, più volte, se non sarebbe più facile o immediato scrivere di eventi riguardanti solo ciò che conta per il pubblico italiano. Seguendo questa logica, la menzione che Bruxelles ha ricevuto un bel premio dalla Commissione europea per gli sforzi sull’inclusione potrebbe essere tralasciata a favore della notizia degli arresti di numerosi affiliati alla ‘Ndrangheta in tutto il Belgio. O no?

No. E risposta più bella a questa domanda l’ho trovata nelle parole di Thanos Dimadis, presidente dell’Association of Foreign Press Correspondents negli USA: Foreign correspondents help citizens understand what is happening in other societies — explaining to them how and why the events that happen in these  foreign societies affect the future of their own lives (i corrispondenti esteri aiutano i cittadini a capire cosa succede in altre società, spiegando loro come e perché gli eventi che accadono in queste società straniere influenzano il futuro delle loro vite). Non che io mi possa vantare del titolo di “corrispondente esteri” ma sposo in pieno le parole di Dimadis…

Mi sono stupita quando, pochissimi giorni fa, ho ascoltato la testimonianza di un importante (lui sì!) giornalista italiano, Nicola Rainò, direttore del giornale finlandese La Rondine. Non sapevo – prima di parlare con Rainò – che in Finlandia non esiste ad esempio un’agenzia italiana di informazione in pianta stabile, ma solo reporter d’occasione. Al massimo, si è arrivati a un accordo dell’ANSA con l’agenzia finlandese STT.

La conseguenza non è affatto trascurabile: chi non vive in Finlandia perde gran parte della complessità di quel territorio, di quella regione. Ma non solo. Perde anche la complessità del mondo stesso di cui la Finlandia è parte.

Arrivano i giornalisti per conto dell’Italia, certo, ma “solo non appena succede qualcosa di clamoroso” e direttamente rilevante o interessante per lo meno per l’italiano medio. Si pensi alla copertura mediatica recente sull’ingresso della Finlandia nella NATO (“presentato – chiarisce Rainò – come una svolta epocale figlia di un singolo evento traumatico”) o, alcuni mesi fa, tutta l’attenzione prestata allo “scandalo” dei party del primo ministro, Sanna Marin.  In quell’occasione gli inviati di turno si erano per lo più dilungati sui tanti particolari del ballo di Marin… Perché era quello che si aspettava gran parte dell’opinione pubblica, forse. E dei talkshow. Chissà se, con un corrispondente stabile in Finlandia, gli ascoltatori avrebbero potuto beneficiare di un’analisi più complessa (e veritiera) del paese nordico… Un po’ come quelle che erano riusciti a restituirci figure come Montanelli e Malaparte che “da qui – ricorda Ratinò – hanno scritto pagine memorabili, qui Manganelli venne a rendere omaggio al suo splendore architettonico”.

Mancano i soldi, si dirà. L’ANSA e i corrispondenti esteri non possono essere ovunque. E poi – si dirà – c’è Internet ora, che ci collega, unisce e permette di raccontare realtà lontane, stando seduti alla propria scrivania, come se si stesse descrivendo il tram che passa sotto l’ufficio stracarico di pendolari. Tutto vero.

Ma non è forse anche vero che il giornalismo di testimonianza di chi vive gli eventi di cui scrive ha il potere di risolvere parte delle discussioni, di chiudere la propaganda, di sfidare la creazione di miti? È la prima stesura della storia. Una fonte primaria per gli storici futuri.

Seguici

Cerca nel blog

Cerca

Chi siamo

Questo blog nasce dall’incontro di tre persone emigrate volontariamente in età adulta dall’Italia in Svizzera e che in questo Paese hanno realizzato esperienze diverse in vari ambiti lavorativi e culturali. 

Ultimi post

Terrorismo

Il termine terrorismo deriva dal verbo latino terrere che significa “intimorire, incutere paura”. Nel linguaggio politico moderno entrò in uso per indicare una determinata fase della Rivoluzione francese.

Leggi Tutto »