L’Europa delle diseguaglianze

È sotto gli occhi di tutti come, nel succedersi delle crisi di varia natura che stiamo attraversando, le diseguaglianze tendano ad aumentare anche in Europa.

Questa tematica è stata approfondita, con una serie di interventi da diversi Paesi dello spazio europeo, nel corso di un’interessante trasmissione organizzata da Radio Mir e coordinata da Pietro Lunetto e Fabio Sabatini.

 Da un lato l’aumento delle diseguaglianze, perseguito spesso come esplicito attacco ai diritti della parte più debole della popolazione, presenta caratteristiche comuni ai diversi Paesi dello  europei presi in considerazione, dall’altro sono presenti alcune differenze negli interventi dei vari governi e nelle reazioni dei movimenti popolari.

 Si nota innanzitutto un aumento generalizzato della povertà assoluta che colpisce sempre più pesantemente i lavoratori poveri, i pensionati, i precari, i giovani e   le donne. Le crisi sono state un’occasione per la prosecuzione della vittoriosa lotta di classe da parte delle classi dominanti, con l’aumento delle diseguaglianze e l’attacco allo stato sociale già in atto da molti anni.

In Germania, ad esempio, come ha rilevato Franco Digiangirolamo, l’80% della ricchezza è in mano al 10% della popolazione e anche in questo Paese, come è stato più volte rilevato per l’Italia, l’ascensore sociale   che garantiva un certo grado di mobilità sociale    appare bloccato, soprattutto per responsabilità del sistema formativo e scolastico.

 Anche in Svizzera, come ha sottolineato Mattia Lento, redattore di Area, la scuola esercita e accentua forme di selezione classista che cristallizzano le differenze a tutto svantaggio dei ceti più deboli. In Svizzera, inoltre, alla prontezza con cui il governo è intervenuto con ingenti stanziamenti in difesa della fallimentare conduzione di Crédit Suisse, fa riscontro un attacco conservatore al sistema pensionistico e in particolare alla condizione   delle donne che il prossimo 14 giugno scenderanno in piazza per reclamare una vera parità a cominciare dagli aspetti salariali e pensionistici.

Il funzionamento del sistema sanitario e gli interventi operati su di esso dalle politiche governativo è un efficace paradigma di come il predominio del mercato non sia in grado di soddisfare i bisogni delle persone e anzi si contrapponga ad essi.

 La crisi causata dal Covid ha messo in luce le carenze causate dalle feroci politiche di austerità imposte da molti governi europei che hanno determinato un forte indebolimento dei sistemi sanitari,   rivelatisi  incapaci  di   reagire in modo sollecito e incisivo alla diffusione della pandemia.

All’origine delle forti proteste che si sono sviluppate in Gran Bretagna, come reazione ai pesanti attacchi ai salari e al welfare in generale, vi è anche la constatazione, come ha sostenuto Domenico Cerabona,  che   i governi conservatori stanno di fatto    ripristinando   le politiche di austerità antipopolare in parte necessariamente accantonate durante la crisi pandemica;  si tratta in fondo dell’applicazione di quel principio di resilienza tanto caro anche alle autorità dell’UE.  Marco Bersani, esponente della rete internazionale Attac, ha rilevato a questo proposito come prevalga una concezione conservatrice che interpreta la resilienza.  come una reazione ai colpi delle crisi con la semplice restaurazione di politiche che sono in gran parte responsabili delle crisi stesse; a questa impostazione   i movimenti popolari devono rispondere ponendo al centro dell’iniziativa politica la fragilità delle persone che impone un’organizzazione della vita sociale a partire dal fatto che le vite sono vulnerabili.

Una caratteristica della reazione   di quasi tutti i governi   al susseguirsi delle crisi è stata invece quella di mettere al centro degli interventi anticrisi non le persone e i loro bisogni ma piuttosto le aziende, con l’illusione che i finanziamenti ai vari settori economici avrebbero provocato, secondo un pregiudizio ideologico   molto caro ai liberisti di tutto il mondo, uno “sgocciolamento” del benessere anche verso i settori sociali più colpiti. Queste politiche governative di sussidi, in primo luogo alle strutture portanti dei vari settori capitalistici, stanno   producendo in realtà un aumento dei profitti e delle diseguaglianze.

Fa eccezione il governo spagnolo guidato dal socialista Pedro Sanchez, che, come ha evidenziato Maria D’Addabbo, consigliera comunale a Barcellona, è l’unico ad aver proceduto in direzione opposta introducendo, fra l’altro, un reddito di base per i più poveri, incrementando la cassa integrazione e le pensioni, eliminando l’Iva sui generi di prima necessità, riducendo le tasse su luce e gas e rendendo più economici i trasporti pubblici.

Oltretutto questa politica non ha le caratteristiche di un assistenzialismo generoso ma fine a se stesso ma al contrario si dimostra un volano per tutta l’economia in quanto la difesa del potere d’acquisto dei ceti medio-bassi ha incentivato un aumento dei consumi, con effetti positivi su tutta l’economia, come i dati estremamente positivi del Pil spagnolo confermano.

La politica del governo spagnolo è frutto di un accordo fra le parti sociali che i   governi di Paesi come Francia e Italia osteggiano esplicitamente ed è la dimostrazione che una politica economica organica che mette al centro le persone è la risposta più efficace alle crisi economiche.

Si tratta di un percorso che anche gli altri Paesi europei dovrebbero imboccare    in vista anche, nell’ ambito dell’UE, del paventato ritorno a una rigida applicazione dei vincoli di bilancio previsti dai trattati di Maastricht che, nella situazione attuale, produrrebbe effetti sociali devastanti.

Molto differenziata risulta la risposta dei movimenti sociali e sindacali nei vari Paesi.

In Francia il sindacato ha mostrato una reale capacità di interpretare la volontà di lotta delle masse popolari sviluppatosi con forza non solo in difesa delle pensioni ma in generale dello stato sociale e del potere d’acquisto dei ceti più deboli.

Questa visione complessiva dei problemi ha permesso di coagulare, attorno alle politiche sindacali, un vasto consenso sociale anche da parte dei giovani. In Gran Bretagna estesi movimenti sindacali non trovano al momento un adeguato sbocco politico a causa della politica conservatrice dell’attuale dirigenza laburista che si illude in tal modo di incrementare il proprio consenso in vista delle prossime elezioni politiche

In Italia, al di là di politiche sindacali che appaiono inadeguate a rispondere  ai feroci attacchi alle condizioni di vita della classi popolari, lo sviluppo di forti movimenti  in grado  di dare uno sbocco positivo alle crisi implica prima di tutto   un superamento di una diffusa condizione di rassegnazione, che impedisce  di considerare possibile un rovesciamento delle politiche antipopolari delle attuali classi dirigenti ; è necessario superare questo   stallo, collegando fra loro le situazioni di lotta pure esistenti nel Paese e trasformandole in un elemento propulsivo di una trasformazione possibile.

Questo è il link per il contenuto integrale della trasmissione di Radio Mir.

https://www.facebook.com/radiomirinternational/videos/967246351317589

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Questo blog nasce dall’incontro di tre persone emigrate volontariamente in età adulta dall’Italia in Svizzera e che in questo Paese hanno realizzato esperienze diverse in vari ambiti lavorativi e culturali. 

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