Lotta alla mafia e donne mediterranee che non lavorano

L’Italia sotto i riflettori del Belgio. Per lo meno in tempi recenti. Recentissimi anzi. Nel giro di pochi giorni, lo Stivale è stato oggetto di attenzioni mediatiche per due questioni diverse. La prima è stata un elogio all’Italia nella lotta contro la mafia. La seconda una critica allo stile del modello familiare italiano e al ruolo che la donna riveste in esso.  Per chi si fosse perso queste notizie, le cose stanno così.

In un articolo pubblicato di recente su Le Soir si fa un grande elogio della legislazione antimafia italiana. L’articolo, che include dichiarazioni di MP anti-mafia italiani e studiosi dell fenomeno mafioso, sottolinea come il modello sviluppato dal lavoro del magistrato Giovanni Falcone, assassinato in un attentato mafioso nel 1992, sia oggi cruciale e debba essere attuato anche nella lotta contro la criminalità organizzata, strutturata e radicata, nel cuore dell’Europa. I clan e i diversi cartelli della droga – si legge nell’articolo – si appoggiano a una rete di complici locali e hanno ormai consolidato la loro presenza sul territorio anche attraverso diverse attività finanziarie, al punto che “Anversa e Rotterdam sono oggi come la città di Palermo negli anni ’90 o 2000”. In questo panorama in Belgio sono un po’ tutti concordi sul fatto che la lotta delle autorità alle organizzazioni mafiose non può che essere declina “all’italiana”: “I sequestri di droga e le pene detentive non sono sufficienti. La priorità è smantellare gli imperi finanziari che stanno dietro ai cartelli della droga, confiscare i beni illeciti e riutilizzare socialmente i beni sequestrati”, riassume il magistrato Tartaglia Polcini, citato da Le Soir.

Ecco, questo, in estrema sintesi, l’elogio dell’Italia, che pochi giorni dopo riappare alla ribalta delle cronache e viene presa di mira su un altro tema, il ruolo delle donne nella “gerarchia” famiglia.

In una dichiarazione a una rete televisiva belga, la LN24, il ministro dell’Occupazione di Bruxelles, Bernard Clerfayt, ha affermato che i bassi livelli di occupazione femminile nella capitale belga sarebbero spiegabili in termini di lascito del “modello mediterraneo” ancora prevalente tra le donne emigrate “che siano italiane, marocchine o turche di origine”: secondo Clerfayt, molte donne appartengono a un modello familiare mediterraneo “in cui l’uomo lavora e la donna resta a casa per occuparsi dei figli”. Subito criticata dai partiti di governo PS e Ecolo, l’affermazione di Bernard Clerfayt ha messo comunque in luce un aspetto reale e presente nel Paese: il tasso di occupazione delle donne è inferiore a quello degli uomini, nonostante un livello di istruzione più elevato e questo divario è maggiore nella regione di Bruxelles (10 punti percentuali di divario), rispetto alle Fiandre e alla Vallonia. Come mai? Più che al modello mediterraneo, si dovrebbe pensare alle difficoltà (linguistiche, ad esempio, e conciliabilità famiglia-lavoro) che le donne devono affrontare. Come ha riassunto la Segretaria di Stato Barbara Trachte (Ecolo): “Caro Bernard Clerfayt, qui ci sono ancora oggettivamente e strutturalmente più ostacoli all’occupazione delle donne, soprattutto di origine straniera. È di questo che dobbiamo occuparci, piuttosto che di ripetere stereotipi.

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Questo blog nasce dall’incontro di tre persone emigrate volontariamente in età adulta dall’Italia in Svizzera e che in questo Paese hanno realizzato esperienze diverse in vari ambiti lavorativi e culturali. 

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