In questi giorni l’attenzione degli appassionati di calcio è assorbita dallo svolgimento dei campionati europei.
Ma nel frattempo sono anche cominciati i gironi di qualificazione per i mondiali, l’evento più atteso dagli appassionati di tutto il mondo, la cui fase finale si svolgerà l’anno prossimo in Qatar.
L’assegnazione dell’evento da parte della Fifa, l’organismo di governo del calcio mondiale, è avvenuta nel 2010, con modalità che, in seguito, sono apparse inquinate da casi di corruzione. Il Qatar ha iniziato subito, praticamente da zero, a costruire gli stadi e tutte le infrastrutture accessorie, ricorrendo in modo massiccio a mano d’opera straniera, che costituisce il 95% della forza lavoro del paese; ben presto sono emerse le condizioni di sfruttamento e la totale mancanza di adeguate misure di sicurezza.
Sono apparse, insomma, in tutta la loro drammatica evidenza, le “normali” condizioni di sfruttamento a cui sono soggetti i lavoratori stranieri in Qatar che l’imponenza e l’urgenza dei lavori intrapresi in vista dell’evento calcistico, hanno ulteriormente aggravato e portato all’attenzione dell’opinione pubblica mondiale.
In un suo reportage pubblicato nel febbraio scorso, il quotidiano inglese Guardian ha sostenuto che, dall’apertura dei cantieri per i mondiali, sarebbero già morti più di 6000 lavoratori a causa di incidenti sul lavoro o per le cattive condizioni igieniche e abitative, in una situazione già di per sé precaria che la pandemia ha ulteriormente aggravato.
I rapporti di lavoro per l’impiego dei lavoratori stranieri in questo paese, come in altre monarchie del Golfo, sono regolati dal principio autoritario-paternalistico della kafala (sponsorizzazione, patrocinio), in base al quale un lavoratore straniero, temporaneamente impiegato, è soggetto alla protezione da parte del suo datore di lavoro che regola privatamente sia i permessi di soggiorno che le condizioni di impiego.
Ne consegue un rapporto di totale sottomissione del lavoratore al suo datore di lavoro che, come l’esperienza dimostra, mette in atto una serie di pratiche arbitrarie quali il sequestro del passaporto o la continua minaccia di espulsione dal paese se il lavoratore non accetta le varie forme di vessazione.
Questa situazione ha indotto l’Onu, numerose organizzazioni internazionali dei lavoratori e molte Ong a rafforzare le loro pressioni sulle autorità qatariote, approfittando anche di una maggiore attenzione mediatica.
Le pressioni internazionali, che hanno convinto anche la Fifa a far sentire la propria voce, hanno portato nel 2019 il Qatar a promulgare una legge che abolisce la kafala, per tutti i lavoratori operanti nel paese.
Sono stati presi provvedimenti anche per corrispondere ai molti lavoratori, che non avevano ricevuto in passato il salario pattuito, almeno una parte di quanto loro spettava.
Appare comunque tuttora problematico, per i lavoratori stranieri, far valere in sede giuridica i propri diritti in caso di contenzioso.
In questo contesto Amnesty International ha rivolto un appello alla Fifa, chiedendo all’organismo di governo mondiale del calcio un impegno concreto per la salvaguardia dei diritti dei lavoratori a cominciare dall’effettiva e immediata attuazione alle riforme promesse che appaiono invece rimesse in discussione.
Anche gli appassionati di calcio e tutti i comuni cittadini sono invitati a sostenere queste richieste apponendo la propria firma a questo appello:
https://www.amnesty.ch/it/news/2021/mondiali-di-calcio-in-qatar-la-fifa-deve-agire
In alcuni paesi, soprattutto dell’Europa del Nord e in primo luogo in Norvegia, si è acceso un dibattito sull’opportunità di boicottare l’evento.
È tuttavia molto dubbio che un’iniziativa di questo tipo potrebbe effettivamente avere, visti gli interessi in gioco, una concreta possibilità di successo. Basti pensare che alcuni dei più importanti club professionistici sono sponsorizzati dalla compagnia di bandiera del Qatar.
I precedenti in tal senso non sono molto incoraggianti; nel 1978 i mondiali di calcio in Argentina si svolsero regolarmente, in una cupa atmosfera caratterizzata dalla sanguinosa dittatura militare allora al potere nel paese e i timidi tentativi di boicottaggio fallirono miseramente.
Amnesty International ritiene perciò più proficuo battersi nell’immediato per migliorare, non solo le condizioni dei lavoratori impegnati attualmente nei cantieri per i mondiali, ma anche di tutta la manodopera straniera, con provvedimenti concreti che valgano anche per il futuro.
La Fifa, dal canto suo, dovrebbe garantire che l’assegnazione della competizione abbia d’ora in poi, come condizione imprescindibile , il rispetto dei diritti umani e del lavoro da parte dei futuri paesi ospitanti. Ovviamente perché questo non si riveli una mera illusione sarà necessaria la mobilitazione dell’opinione pubblica di tutto il mondo
Chi ama questo sport si rende conto che sarebbe illusorio sottrarlo completamente agli interessi più o meno leciti in cui il professionismo sportivo è inevitabilmente implicato.
Si può chiedere che eventi sportivi di questo genere rispettino almeno regole etiche essenziali e siano sottratti al gigantismo da cui sono afflitti e che sono causa non ultima di scandali e corruzione. Questo impegno non può essere demandato alle sole autorità competenti ma deve entrare nella coscienza di chiunque non voglia che troppo spesso, insieme a una sfera di cuoio, vengano presi a calci i anche diritti di tanti esseri umani.