Politicamente corretto

La cosiddetta correttezza politica è una modalità di espressione del proprio pensiero dichiaratamente ed esplicitamente priva di ogni forma di pregiudizio etnico, razziale, religioso di genere, di orientamento sessuale o relativo all’età, all’aspetto fisico o a disabilità psicofisiche.

Questa espressione nasce probabilmente negli anni Trenta in ambienti intellettuali di sinistra degli   Stati Uniti. Politically  Correct è anche il nome del movimento che si diffonde a partire dagli anni Ottanta in alcune università americane.

Il movimento Black Lives Matter che si propone di combattere, a partire dagli Usa, quello che anche Biden ha definito razzismo strutturale, ha indotto anche a una serie di gesti simbolici che hanno investito varie forme di espressione artistica del presente e del passato.

Ovviamente questa tendenza alla correttezza politica non si presenta in modo omogeneo, ha varie sfaccettature e non è esente da errori e esagerazioni.

Nel linguaggio burocratico sono ad esempio stati adottati, anche in italiano, una serie di termini che mostrano più la volontà di celare eufemisticamente realtà dolorose che di manifestare un vero rispetto per i gruppi di persone via via prese in considerazione.

Talvolta i nuovi termini sono stati introdotti senza consultare i soggetti direttamente interessati che non sempre li hanno accolti favorevolmente.

Un esempio potrebbe essere il giusto tentativo di sostituire il termine “handicappato” per indicare una persona affetta da una menomazione fisica o psichica.

Mentre trovo corretto usare il termine” disabile” mi sembra assurdo usare il termine “diversamente abile”, quasi che una specifica e limitante menomazione possa essere in qualche modo compensata.  

Lo zelo di rispettare le minoranze ha portato alcune iniziative non coordinate fra di loro che hanno assunto talvolta aspetti un po’grotteschi, soprattutto quando si è preteso di applicare a opere ed eventi del passato la sensibilità di oggi.

Proprio attaccando pretestuosamente questi eccessi, alcuni critici radicali della correttezza politica, rivendicano, in nome della libertà di espressione che sarebbe messa in discussione, il diritto di usare un linguaggio offensivo. Chi magari prima si vergognava almeno un po’ di usare espressioni sessiste, omofobe, razziste, oggi ostenta   questo modo di esprimersi come esempio di libertà.

C’è poi chi, magari per rivendicare forme di comicità facile e piuttosto greve, si lancia in dissertazioni linguistiche, sostenendo che non sono le parole in se stesse a offendere ma l’intenzione con cui vengono pronunciate.

Ammettendo generosamente la buona fede di chi fa affermazioni del genere, si tratta con tutta evidenza di una sciocchezza. Le parole pesano eccome, rispecchiano o addirittura contribuiscono a formare l’immagine della realtà di ciascuno di noi e di chi le ascolta, specie se sono pronunciate da personaggi che hanno un ampio seguito.

In sostanza il tanto bistrattato politicamente corretto merita di essere difeso non solo dai suoi detrattori ma anche dai suoi stessi eccessi.

Lo sforzo di usare un linguaggio non offensivo nei confronti di gruppi di persone che sono state oggetto nel corso dei secoli di forme di discriminazione e di oppressione è un lodevole tentativo di umanizzazione che ognuno compie in primo luogo su se stesso e che implica poi una presa di coscienza della necessità di superare i pregiudizi che certe espressioni linguistiche rivelano. 

Questa accresciuta attenzione facilita inoltre l’assunzione di atteggiamenti di maggior rispetto nei confronti degli altri ben oltre le parole utilizzate e può contribuire a creare un clima adatto per provvedimenti tesi al miglioramento delle condizioni di vita dei gruppi più svantaggiati.

Gli eccessi di correttezza politica da superare riguardano invece spesso l’applicazione al passato di criteri di giudizio propri di una moderna sensibilità democratica.

Piuttosto che compiere questa operazione antistorica appare più opportuna battersi nel presente per criticare parole, atteggiamenti, produzioni culturali e artistiche che offendono la dignità di determinate minoranze. 

La battaglia per la correttezza politica, come ho cercato di delinearla, deve poi avvenire essenzialmente sul piano delle idee e della persuasione, non con la pretesa di imporre divieti e censure, salvo ovviamente i casi in cui la “scorrettezza politica” travalichi i confini dell’opinione per diventare istigazione alla violenza.

Una battaglia culturale combattuta a partire da un’attenzione critica verso le proprie parole e i propri comportamenti risulterà senz’altro più credibile ed efficace.

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Questo blog nasce dall’incontro di tre persone emigrate volontariamente in età adulta dall’Italia in Svizzera e che in questo Paese hanno realizzato esperienze diverse in vari ambiti lavorativi e culturali. 

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