Punire i genitori se i figli non si integrano? La proposta dalle Fiandre

Questa è una storia che qualcuno vorrebbe scrivere. Una storia che noi ci auguriamo di non leggere mai, e che, se venisse scritta, sarebbe più o meno così:

“C’era una volta un gran numero di bambini in età pre-scolare, figli di immigrati, che non parlavano a sufficienza (o affatto) la lingua del paese ospitante. Preso atto di questo deficit linguistico, chi sedeva al governo decise che qualcosa doveva essere fatto per colmare il gap tra nuovi arrivati e autoctoni. Dopo diverse discussioni, fu deciso che la strada da seguire era quella di punire mamme e papà migranti colpevoli di non promuovere a sufficienza l’apprendimento linguistico dei loro figli. In pratica, a questi genitori, furono tolti i sussidi economici. E così si sarebbe fatto fino a quando i figli non avessero dimostrato di aver raggiunto conoscenze linguistiche adeguate. Qualcuno le raggiunse; molti altri trascorsero una vita ai margini. E vissero (in pochi) felici e contenti. Fine della storia”.

Questo copione non è materia di un romanzo di fantascienza. Infatti è molto “vero” e riguarda, nello specifico, le famiglie di bambini classe 2017 che si apprestano a lasciare la scuola materna nelle Fiandre, in Belgio. Più precisamente riguarda il 14% di questi bimbi, che non parlano un livello di fiammingo adeguato per iniziare il ciclo delle elementari. Come in ogni storia, anche in questa – che qualcuno vorrebbe davvero scrivere – ci sono i bravi e i cattivi, gli eroi e i sommersi.

Per Ben Weyts, il ministro dell’Istruzione delle Fiandre, lui rappresenta l’eroe, mentre gli anti-eroi sono i genitori, che in casa parlano una lingua diversa da quella del luogo e sarebbero i primi (i soli?) responsabili dell’ignoranza linguistico della prole. Quindi, secondo Weyts, dovrebbero essere puniti. 

“Non voglio che i bambini inizino la prima elementare con una conoscenza insufficiente dell’olandese. Altrimenti, questi bambini non avranno le stesse opportunità. Inoltre, la presenza di molti alunni in classe che non hanno una conoscenza sufficiente dell’olandese incide sulla qualità dell’istruzione per tutti i bambini”, ha dichiarato Weyts. E magari questo è anche un pensiero condivisibile. Ma lo strumento? Un po’ più discutibile: “Dobbiamo pensare alle possibilità di intervenire quando i genitori si sottraggono palesemente alla responsabilità genitoriale, ad esempio intervenendo sul Pacchetto Crescita [un pacchetto di assegni finanziari su misura per ogni bambino di ogni famiglia che ha sostituito il sistema degli assegni familiari] o sui premi governativi”.

In pratica, questo significa privare i mamme e papà, che rifiutano di sforzarsi di padroneggiare o imparare l’olandese, dei benefici sociali e delle indennità economiche che ricevono.

Secondo un recente sondaggio, ad Anversa e a Gent si registrano i risultati più mediocri tra gli under 6. In queste regioni, la percentuale dei bambini che non parla fiammingo sale a oltre il 20%, mentre riguarda il 18% dei bambini nell’area fiamminga intorno a Bruxelles. Come è facile immaginare, molti dei bambini che hanno problemi di conoscenza linguistica vivono in famiglie non propriamente agiate (e che magari non possono permettersi corsi privati di fiammingo) o in situazioni familiari dove l’integrazione (linguistica) è una sfida, in primis culturale. Anche per questo, non tutti sono d’accordo con la proposta “punitiva”. In particolare, si teme che, qualora questa strada fosse intrapresa, si assisterebbe a un aumento della vulnerabilità socio-economica delle famiglie e non si sanino i deficit linguistici dei figli.

Che fare? Da più parti arriva la richiesta che sia la scuola ad assumersi maggiore responsabilità nel processo di apprendimento linguistico di chi vive in un contesto familiare dove il fiammingo non è la prima lingua. Gli istituti scolastici in Belgio fanno abbastanza? Sono arrivata nelle Fiandre da poco e ancora una visione precisa di quanto accade in materia di integrazione non ce l’ho…

Conosco meglio un altro Paese, anch’esso confrontato con una crescente immigrazione e il bisogno di sviluppare programmi scolastici a sostegno dell’integrazione. La Svizzera. Alcuni anni fa, proprio prima che mi trasferissi nella Confederazione, diversi cantoni avevano seriamente iniziato a ripensare quel sistema scolastico che sino ad allora prevedeva che bimbi di migranti fossero inseriti in scuole speciali per ragazzi che incontravano difficoltà – e questo non perché i figli di emigrati fossero meno intelligenti degli autoctoni, ma perché il sistema scolastico non facilitava la loro integrazione. Il risultato era (stata) una vera ghettizzazione dei giovani giunti da altri paesi. Oggi per fortuna queste classi speciali hanno ormai lasciato posto a altre, più inclusive, misure didattiche volte a favorire il processo d’integrazione dei bambini di altre culture.

Gli esempi non mancano. Già a partire dai primi anni Duemila, per esempio, Basilea e Zurigo, con le loro classi multiculturali, hanno varato incentivi di ordine strutturale, tra queste, il fatto che le scuole con percentuale di allievi stranieri superiore al 40% sono state abilitate ad assumere un numero maggiore di insegnanti per poter offrire classi più piccole e dunque seguire meglio gli allievi. Un’altra misura, che va nella direzione di favorire l’integrazione anche delle famiglie straniere piuttosto che la loro “punizione”, ha preso la forma di corsi di lingua dedicati ai genitori, soprattutto per le mamme. «Ci siamo accorti che esse rappresentano il perno dell’integrazione, non solo del bambino, ma dell’intera famiglia, per questo le incoraggiamo a meglio imparare il francese», aveva spiegato Pierre-Alain Tièche, del Dipartimento dell’educazione del canton Giura, in un’intervista. Questo anche perché, si è visto, come l’integrazione linguistica delle mamme correla positivamente con la loro partecipazione alle serate informative organizzate dalla scuola e il loro sostegno attivo del percorso scolastico dei figli. Io stessa ho lavorato a Lugano a un progetto di didattica della lingua italiana per migranti donne che provenivano dall’Africa subsahariana o dall’Asia. Dopo alcuni mesi di lezioni, le mamme riuscivano ad andare ai colloqui con le maestre e potevano controllare almeno l’andamento scolastico generale dei figli. Era molto bello veder “sbocciare” quelle donne.

La storia delle famiglie immigrate in Belgio che non parlano la lingua locale e che dovrebbero essere economicamente penalizzate è ancora da scrivere. Se ne è proposta una traccia. Speriamo in un colpo di scena, in un’altra narrazione, che dove i genitori non sono puniti ma aiutati a integrarsi e vivere al pieno con i loro figli – e senza rinnegare le proprie radici – il loro essere, ora, in Belgio. 

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Questo blog nasce dall’incontro di tre persone emigrate volontariamente in età adulta dall’Italia in Svizzera e che in questo Paese hanno realizzato esperienze diverse in vari ambiti lavorativi e culturali. 

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