Scuole per sole femmine: e se il problema fosse proprio la classe?

“Classe 3B, gruppo calcio femminile”. Quando ho saputo che tra i genitori della classe di mio figlio c’era una gruppo Whatsup dal quale ero esclusa perché dedicato specificatamente alle mamme e ai papà di bambine, mi sono incuriosita. Che cosa avevano da raccontarsi, loro? Così ho chiesto e scoperto che il gruppo organizza un torneo scolastico di calcio per sole femmine. Bello – mi sono detta. Soprattutto bello perché – ho pensato – altrimenti nell’ora di educazione fisica, il pallone da calcio è “proprietà” praticamente esclusiva dei ragazzi.

O forse no? Almeno in parte, “i tempi sono cambiati, mamma”, mi dice mio figlio, quasi basito, quando gli confido che alla sua età, a 8 anni, nell’ora di ginnastica a scuola, i maschi giocavano a calcio e noi, “le femmine”, sempre e solo a pallavolo. E’ stato bello, proprio nel giorni in cui Nicola Bartolini ha vinto l’oro nel corpo libero ai Mondiali di ginnastica artistica, scoprire che a scuola ormai si gioca a calcio, indipendentemente dal genere…

E dire che qualche tempo prima avevo ascoltato un podcast sulle potenzialità di scuole monogenere, per ragazze nello specifico. Già.. ho scoperto che esistano ancora anche da noi, in Europa – oltre 210 mila. Queste scuole, si reggono, sostanzialmente, sull’assunto che la presenza maschile limita la leadership femminile. E trovano la loro ragion d’essere nel farsi promotrici della parità. Criticate da molti, soprattutto quando si pensa ai Paesi (molti) dove le parità civili, sociali e politiche delle donne non sono nemmeno all’orizzonte, le scuole per sole femmine forse non sono così male?

Secondo alcuni studi nelle scuole miste le materie rischiano di essere stereotipate in chiave di genere: nelle scuole per sole femmine, invece, le ragazze senza il confronto dei coetanei sarebbero più inclini a prendere parte a sport tradizionalmente non legati al genere femminile e a farlo in modo competitivo. Non solo. Nelle scuole per sole femmine, le giovani sono maggiormente creative e capaci di assumersi rischi, e si mostrerebbero anche più interessate a materie scientifiche, come la fisica e la matematica, rispetto alle coetanee nelle classi miste.

Argomentazioni interessanti ma che fanno sparire concetti come dialogo, rispetto e solidarietà. E sollevano poi una serie di domande: fino a che punto la ragion dev’essere delle scuole per sole femmine non implica che, in qualche modo, i docenti non sono all’altezza di svolgere il loro lavoro educativo a supporto di equità e parità di genere nell’educazione? Per non parlare della possibilità che a ipotetici stili di apprendimento maschile e femminili distinti, possano o debbano corrispondere stili di insegnamento analoghi. E che ne è delle problematiche legate all’idea stessa di “femminile” e “maschile” e il suo significato entro contesti multiculturali variegati come quelli in cui la scuola si trova ad operare?

Insomma, parlando di classi miste o classi monogenere, il problema sempre piuttosto proprio la classe ovvero l’incapacità di individuare i mezzi per garantire il successo formativo “di tutti e di ciascuno”. “Includere differenziando” – ma non le classi bensì la didattica nelle classi e oltre la classe.

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Questo blog nasce dall’incontro di tre persone emigrate volontariamente in età adulta dall’Italia in Svizzera e che in questo Paese hanno realizzato esperienze diverse in vari ambiti lavorativi e culturali. 

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