Senzatetto in Svizzera: la povertà non è un crimine

Dormono per strada, in spazi pubblici o strutture di accoglienza notturne. Non hanno una fissa dimora. Vivono – soprattutto se donne – in istituzioni “protette” e parzialmente chiuse; sono ospitati in maniera discontinua da amici o parenti. Fanno la fila per un pasto caldo e una doccia. Loro sono, per tutti, “i senzatetto”. Persone le quali non godono del diritto a un alloggio adeguato, diritto iscritto nella Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948. Si tratta di oltre 150 milioni di persone nel mondo. In Svizzera, dove il fenomeno resta sottotraccia ed è poco sentito, i dati parlano di circa 2’200 senzattetto. A Berna ce ne sarebbero almeno 400; a Basilea circa 100 persone dormono in rifugi d’emergenza, mentre la città di Zurigo ha calcolato che almeno una dozzina di persone dormono per strada tutto l’anno. Ma questi dati sono quasi certamente stime al ribasso. In un’intervista di poche settimane fa (Area 11 marzo 2022), Jean-Pierre Tabin, professore all’Alta scuola per il lavoro sociale a Basilea e esperto di povertà a Losanna, ha infatti dichiarato che i poveri senza fissa dimora nel Paese sarebbero almeno 3’800. 

Lo scorso 24 novembre, una risoluzione dei parlamentari europei a Bruxelles ha invitato l’UE e gli Stati membri a eradicare il fenomeno dei senzatetto entro il 2030. Negli ultimi dieci anni il fenomeno dei senza tetto è entrato più volte anche nelle discussioni federali elvetiche. Si ricordi, ad esempio, l’interpellanza della Consigliera nazionale Ada Marra nel 2014 su “Ricoveri di emergenza per i senzatetto in Svizzera”, che ha posto il problema della ripartizione dei compiti tra Confederazione e Cantoni per quanto riguarda la gestione dei senzatetto.

La pandemia di coronavirus ha acuito il numero di coloro senza fissa dimora anche nella benestante e ricca Svizzera e ha messo in luce che la questione non è puramente tecnica, legata alla difficoltà di trovare un alloggio. E’ anche un problema politico, che necessita, per l’appunto, di essere affrontato attraverso la creazione di una politica nazionale verso i senzatetto. Tuttavia, ad oggi, nel Paese, non si è ancora arrivati a contare sistematicamente e in modo omogeneo il numero delle persone senza alloggio, a differenza di quanto si fa, ad esempio, per coloro che ricevono assistenza sociale – ricorda il professore Jean-Pierre Tabin. Uno delle barriere principali per questo conteggio è la mancanza di una chiara e condivisa definizione di chi siano i senzatetto, con almeno due conseguenze: da un lato è difficile (se non impossibile) comparare la situazione della elvetica a livello internazionale; dall’altro lato, ci si trova di fronte alla difficoltà di legiferare e quindi garantire i diritti delle persone che non hanno fissa dimora, anche all’interno delle stesse città e tra cantoni. Come Lara Robbiani Tognina, presidente dell’Associazione DARE, ha ricordato recentemente, il sistema svizzero è tale da inserire gli individui “in binari” (es. povero/non povero) dai quali è poi molto difficile uscirne.

Rappresentati, non di rado ma erroneamente, nella concezione popolare come persone affette da problemi psicologici, tossicodipendenti o lavoratotrici del sesso, coloro che vivono in strada vi sono spesso costretti, ad esempio a causa di un lavoro precario che non permette di pagare un affitto o in assenza di un permesso di soggiorno stabile (sono circa 100’000 i “sans-papiers” in Svizzera, cioè le persone che sono senza documenti). Le restrizioni causate dal Covid-19 hanno esacerbatole richieste di aiuto da parte di chi si ritrova in condizioni di povertà. Materiale, certo, ma non solo. Cresce anche qui, infatti, numero di quanti vivono in situazioni segnate da un’insufficienza di risorse culturali e sociali: si pensi ai giovani che hanno vissuto mesi “reclusi in casa” e come loro, anziani e fragili, e poi, famiglie divise.

I media sono in parte responsabili di questa narrazione dei poveri (degli “scarti” – per usare un’espressione di Papa Francesco), dei quali si raccontano le storie personali ma raramente le biografie sono messe in relazione a possibili sfide e soluzioni di politica sociale. Nello studio condotto da Matthias Drilling, professore all’Alta scuola pedogogica Hochschule für Soziale Arbeit FHNW, e pubblicato nel 2020, sono stati presi in esame tutti gli articoli in 183 giornali e riviste svizzere di lingua germanofona e francofona che, tra il 1993 e il 2019, si sono occupati di povertà in relazione ai senzatetto. Emerge che i media tendono a riportare la vita dei senzatetto in luoghi specifici (ad esempio aeroporti, spazi pubblici, stazioni ferroviarie) o in momenti specifici (soprattutto all’inizio dell’inverno) e tracciano la storia di chi non ha fissa dimora risalendo all’infanzia (difficile e di disagio) della persona. Non di rado, la povertà è legata a situazioni di dipendenze o descritta come una scelta volontaria, avvallando quindi l’immagine stereotipata e non propriamente positiva dei senzatetto. Dei poveri. 

Ma, la povertà non è un crimine! E se da un lato non si può ignorare la necessità di politiche nazionali di contrasto alla povertà, dall’altro servono anche interventi mirati da parte dei media che promuovano una nuova narrazione capace di liberare da stereotipi e umiliazione chi non ha fissa dimora.

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Questo blog nasce dall’incontro di tre persone emigrate volontariamente in età adulta dall’Italia in Svizzera e che in questo Paese hanno realizzato esperienze diverse in vari ambiti lavorativi e culturali. 

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