Sessione delle donne in Svizzera: perché niente uomini?

Il 2021 ha visto una crescente attenzione alla questione femminile in Svizzera, vivacizzata nei suoi vari Cantoni e soprattutto nella capitale, Berna, da numerosi eventi celebratori di quel 7 febbraio di cinquant’anni fa, quando il diritto di voto e di candidarsi alle elezioni a livello federale venne esteso ad entrambi i sessi. All’importanza di tale anniversario non corrispondono, però, progressi di simile portata “storica” e le discriminazioni di genere rimangono endemiche, ben radicate nella società elvetica. Insomma, si potrebbe fare di più.

Proposte concrete per abbattere il muro che separa donne e uomini, ad esempio in termini salariali, pensionistici e sociali, sono state formulate pochi giorni fa, in occasione della Sessione delle donne nel Parlamento federale, la seconda occasione di questo tipo, nella storia politica svizzera, a distanza di trent’anni dalla prima. Infatti, il 29 e 30 ottobre scorsi Berna si è tinta ancora una volta di viola, il colore delle bandiere e dei palloncini che solo due anni fa hanno riempito diverse piazze svizzere in occasione del secondo sciopero nazionale delle donne per rivendicare una vera ed effettiva parità di genere: questa volta, 246 cittadine provenienti dalle quattro regioni linguistiche del paese, di età e impegni professionali differenti, si sono sedute nei seggi parlamentari per definire progetti concreti che saranno sottoposti al parlamento, quello vero, nei prossimi mesi. 

Divise in otto commissioni, le donne hanno discusso anzitutto di questioni socio-economiche e della preoccupante crescita delle disuguaglianze di reddito. Basti ricordare che in Svizzera le lavoratrici guadagnano mediamente il 19% in meno rispetto ai loro colleghi. Dalle istituzioni, questo scarto è spiegato dal “part-time”: sempre più giovani scelgono di lavorare a percentuali ridotte. La questione sembra non destare la preoccupazione dei più, e invece dovrebbe: le donne lavorano part-time perché sono sottoccupate, non perché lo vogliano. La disparità salariale è infatti la conseguenza di una serie di lacune che il sistema presenta, dalla difficoltà a conciliare famiglia e lavoro (la Svizzera è quasi fanalino di coda tra i Paesi Ocse per quel che riguarda le strutture di accoglienza dell’infanzia), alle pressioni sociali, all’abitudine a non considerare le donne adatte a ruoli direttivi ma piuttosto per il lavoro di cura e assistenza a terzi, alla scarsa protezione legale della maternità. Quest’ultima è fortemente percepita nella società come una questione femminile, piuttosto che “di coppia”, con la conseguenza che sono le madri (e non i padri) a essere costrette – per accudire il nascituro – a ridurre il proprio tempo di lavoro. Con ovvie ripercussioni sul salario e sulla pensione.

Nei due giorni di dibattiti e lavori al parlamento federale di Berna, si è parlato anche di violenza (sono 23 i femminicidi commessi in Svizzera da inizio anno) con la richiesta di dare un finanziamento pari allo 0,1% del PIL alla protezione contro la violenza di genere; e poi di educazione e della sotto-rappresentanza femminile in vari ambiti, da quello scientifico (la presenza di ricercatrici in matematica, informatica, scienze naturali e tecnologia nelle università e politecnici del paese rimane lontano dalla quota del 50%) a quello mediatico (le donne in radio e tv sono presenti, ma raramente sono intervistate come esperte).

A evento concluso, è opportuna una riflessione “a posteriori” sul significato delle richieste emerse da una sessione di “sole donne”. Va criticata per aver escluso il mondo maschile? O si deve piuttosto cogliere l’importanza di avere avuto un momento che potesse rafforzare la rete delle donne, proprio come l’annuale sessione dei giovani nel parlamento a Berna avvicina chi ha tra i 14 e i 21 anni?

Organizzare e dare spazio a una sessione di donne significa in qualche modo riconoscere il loro status di minoranza – consapevolezza che dovrebbe essere, però, punto di partenza per discussioni future volte a rompere il soffitto di cristallo che impedisce alla popolazione femminile di avere pari opportunità nella diversità.

Non si tratta di essere femministe (vale forse la pena, tra l’altro, di ricordare che femminismo non è l’opposto di maschilismo: il secondo è quell’atteggiamento basato sull’assunto che gli uomini siano superiori alle donne, mentre il primo è il pensiero, portato avanti sia da donne sia da uomini, volto a promuovere una cultura della parità tra i sessi). Si tratta invece di difendere la consapevolezza che l’opposto dell’uguaglianza tra i sessi è la disuguaglianza, non la differenza. Lavorare per contrastare la disuguaglianza significa quindi costruire un ambiente inclusivo per le differenze, cioè adatto alla libera espressione delle singolarità e dei talenti. Nella convinzione che l’uguaglianza uomo-donna non è a beneficio di una parte soltanto, ma serve allo sviluppo e alla produttività di tutta la società

Che dire? La strada rimane lunga, qui in Svizzera (e altrove), e quella lumaca gigante di cartapesta, issata sul carro che nel 1928 aprì la prima Esposizione nazionale del lavoro femminile nel paese, continua a procedere, instancabilmente, ma lentamente.

Seguici

Cerca nel blog

Cerca

Chi siamo

Questo blog nasce dall’incontro di tre persone emigrate volontariamente in età adulta dall’Italia in Svizzera e che in questo Paese hanno realizzato esperienze diverse in vari ambiti lavorativi e culturali. 

Ultimi post

“Acqua per la pace”

Questo è il significativo motto scelto dall’Onu per la giornata mondiale dell’acqua che ricorre ogni anno il 22 marzo per sensibilizzare l’opinione pubblica mondiale sull’uso

Leggi Tutto »