Bruxelles: dove è facile legare povertà e criminalità

Mentre i media internazionali si preparano a diffondere nuove immagini dei trattori che invadono di nuovo Bruxelles, la città ha altri problemi. Sono di lunga data e riguardano una questione critica per le elezioni del 9 giugno. Parliamo di migrazione. Questo non sorprende, considerando che al 1° gennaio 2023 i migranti di prima e seconda generazione rappresentano rispettivamente il 17,8 per cento e il 16,6 per cento della popolazione belga. Quartieri come ghetti, violenze e traffico di droga, mancata accoglienza. Cronaca di una città dove è facile legare la povertà (dei migranti) e la criminalità.

Sono tornati. I trattori sono tornati a Bruxelles. E con loro, di nuovo ritardi per le linee degli autobus. Chiuse le entrate delle stazioni della metropolitana Schuman e Maelbeek. Forze di polizia dispiegate in versione anti-sommossa. Rabbia tra chi deve recarsi a Bruxelles ma con le dimostrazioni non c’entra nulla. Il quartiere delle istituzioni Ue è nuovamente alla mercé delle proteste. Lì sono puntati gli occhi dei media europei. Le vie (occupate) limitrofe al Parlamento,  apparse ripetutamente nei servizi televisivi di TV e media internazionali delle ultime settimane, sono ormai note ai cittadini dell’Unione, dalla Spagna alla Finlandia. 

Ma la Capitale del Belgio non deve occuparsi solo di problemi dai risvolti “europei”. Basta andare in alcune zone cittadine per vedere un’altra faccia di Bruxelles, poco nota all’estero ma molto raccontata nelle ultime settimane in diversi reportage locali. E non c’è nulla di rassicurante.

Il nostro viaggio parte da Gare du Midi, che è il terminal ferroviario dell’Eurostar. Di fronte alle stazione, c’è anche un mercato domenicale che è tra i più grandi d’Europa. Si tratta di un crocevia di persone dai caratteri quasi surreali e in stridente contrasto con gli edifici scintillanti del Parlamento e la curata piazza di fronte alla Commissione Europea. Camminare per le centinaia e centinaia di bancarelle disposte senza una logica apparente, facendosi largo tra la folla, cercando di non perdersi nel disordine di cartoni vuoti abbandonati dove capita: ecco tutto fa pensare che ci sia un muro di gomma a separare i quartieri della città. E senza alcuna volontà o progetto di integrazione.

Girare per i vicoli attorno a Gare du Midi è come aprire una porta e trovarsi in un paese sub-sahariano. Il rischio di etichettare c’è e a tratti appare più semplice dell’andare oltre la superficie. Eppure, il senso di insicurezza nel muoversi tra quegli spazi è palpabile e “visibile”. Oggi il 66% dei residenti di Bruxelles dichiara di sentirsi minacciato nel contesto della crescente violenza di alcuni quartieri cittadini. Lo scorso agosto oltre 30 tra comitati locali e organizzazioni attivi tra la Stazione Nord e Parvis de Saint-Gilles, Cureghem, da Marolles a Schaerbeek, Molenbeek-Saint-Jean, e Anderlecht hanno inviato una lettera aperta alle autorità denunciando la precarietà e senso di insicurezza dei quartieri in seguito alla presenza molto alta di persone senza fissa (anche minorenni) che vagano per gli spazi pubblici, nelle strade e piazze, nei parchi e nelle stazioni della metropolitana e dei treni, facendo uso di droghe e responsabili di atti di violenza, anche con armi da fuoco. 

In risposta alle 21 sparatorie che ci sono già state in tutta la città da inizio anno, le autorità hanno aumentato la presenza della polizia e da alcuni mesi le forze dell’ordine sono impegnate in quello che è stato ribattezzato il ‘Piano Midi’, un’azione (per altro molto criticata da diversi attori sociali) decisa contro l’uso di droghe e i senza tetto nella stazione Midi, mentre tra pochi mesi verrà anche aperto a Bruxelles un secondo spazio “sicuro” (salle de consommation à moindre risque) per il consumo di droghe – quello già esistente presso la stazione di Midì, con i suoi 150 “utenti” al giorno, non basta più. 

I fattori coinvolti a fare di alcuni quartieri di Bruxelles zone poco sicure se non addirittura violente sono complessi e molteplici. Uno è stato messo in luce anche recentemente durante una marcia contro il razzismo organizzata nella capitale. 

Al centro c’è la questione delle politiche di accoglienza dei migranti a partire dalla dimensione lavorativa: il Belgio è fanalino di coda tra gli stati dell’UE quando si tratta di integrare le persone con un background migratorio nel mercato del lavoro. Secondo uno studio condotto dalle università belghe di UGent, UAntwerpen, ULB e UMONS, i migranti in media vengono pagati meno, occupano più spesso posizioni professionali al di sotto del loro livello di istruzione e hanno più probabilità di trovarsi in situazioni di precarietà lavorativa. Il problema riguarda anche la seconda generazione. Si legge nello studio che, anche se sono cresciuti in Belgio, frequentano la scuola qui e parlano le lingue nazionali, i giovani con almeno un genitore non-belga hanno difficoltà a trovare migliori opportunità lavorative rispetto ai loro genitori.

Così una domanda rimane ed è, ricorrendo ad un’espressione inglese, “un elefante nella stanza” che per ora si continua a far finta di non vedere: evitando la deduzione secondo cui l’assenza di lavoro porta le persone ad abbracciare la criminalità, quanto una condizione di povertà e precarietà lavorativa può amplificare il disagio vissuto dalle persone immigrate?

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Questo blog nasce dall’incontro di tre persone emigrate volontariamente in età adulta dall’Italia in Svizzera e che in questo Paese hanno realizzato esperienze diverse in vari ambiti lavorativi e culturali. 

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