Che cos’è il gender washing e come lo usa la nostra futura ministra

Il termine gender washing nasce nel contesto aziendale e viene coniato per indicare il tentativo da parte dei marchi di lavare la propria immagine con campagne pubblicitarie contro la discriminazione di genere o a favore delle pari opportunità, dietro cui si cela come reale intento primario quello di promuovere le vendite. 

Grazie a una serie di scelte, messaggi e proposte che Giorgia Meloni ha espresso prima e durante la campagna elettorale, che come ben sappiamo ha portato alla netta vittoria del suo partito, oggi possiamo applicare questo termine anche alla politica italiana. 

Partiamo da una domanda: la nostra prima ministra del Consiglio sarà un bene per le donne?

Non vi terrò con il fiato sospeso fino alla fine dell’articolo. La risposta è no e ve la giustifico subito esponendo i fatti che portano con grande amarezza a dover ammettere che avere una donna al potere non significa necessariamente che quel potere verrà usato per rilevare e risolvere una disparità di cui lei stessa rappresenta la parte discriminata.

Michela Murgia, scrittrice e attivista, scrisse in un lungo post una riflessione arguta e illuminante: “Ogni volta che incontro una donna potente, quello che mi chiedo è: che modello di potere sta esercitando? Se usa la sua libertà per ridurre o lasciare minima quella altrui, questo non è femminismo. Che sia di destra o di sinistra, se il suo modello di organizzazione dei rapporti è la scala e non la rete, questo non è femminismo. Se chiama meritocrazia il sistema che salvaguardia il suo privilegio di partenza e nega il diritto di altre persone, questo non è femminismo”.

Ed è proprio dall’ingiusta appropriazione del termine che vorrei partire citando “Il manifesto del femminismo del merito” proposto da Meloni stessa in cui critica fortemente l’utilizzo delle quote rosa, inneggiando a un merito che, purtroppo, la parte discriminata in questione non può esercitare come unico strumento per raggiungere determinate posizioni lavorative. Se la discriminazione è insita nella selezione, risulta chiaro anche un bambino la necessità di imporre procedure di assunzione regolamentate, che tutelino il diritto di esercitare quello stesso merito di cui lei parla. 

Un altro intervento che non è passato inosservato è stata la presa di posizione nettamente contraria da parte di Fratelli d’Italia all’emendamento proposto dalla senatrice Alessandra Maiorino che proponeva, cito testualmente: “Che nella comunicazione istituzionale e nell’attività dell’amministrazione sia assicurato il rispetto della distinzione di genere nel linguaggio attraverso l’adozione di formule e terminologie che prevedano la presenza di ambedue i generi attraverso le relative distinzioni morfologiche, ovvero evitando l’utilizzo di un unico genere nell’identificazione di funzioni e ruoli, nel rispetto del principio della parità tra uomini e donne.” 

Rifiutare una proposta inclusiva di rappresentazione linguistica nelle istituzioni ufficiali è un segno forte e chiaro dei principi su cui Giorgia Meloni ha costruito e alimentato il suo potere. 

Sono principi sessisti, xenofobi e razzisti, di cui lei si fa portavoce incarnando l’immagine simbolica del patriarcato più becero, quello della matrona dal temperamento machista che difende l’unica identità famigliare riconosciuta, strumentalizzando la religione cattolica a vantaggio di un solo modello sociale, tradizionale e discriminatorio.

È riuscita persino a criticare la giornalista Rula Jebreal per il suo monologo molto toccante letto al Festival di San Remo nel 2020, che attraverso il racconto personale delle violenze subite da sua madre, ha trattato il tema dello stupro e del femminicidio. “Era su una rete pubblica pagata dai contribuenti” ha commentato Giorgia Meloni, “a esporre le proprie idee senza  contraddittorio”…  

Quale contraddittorio sia possibile in un messaggio di sensibilizzazione sulla violenza alle donne si può comprendere solo contestualizzando il partito di cui lei è il leader. Un partito in cui le priorità sono altre: sostegno alla famiglia tradizionale e natalità, con proposte di pensione anticipata solo per le donne con figli e naturalmente una presa di posizione molto netta contro l’aborto. 

Nell’ultimo confronto televisivo avuto con il leader del PD Enrico Letta uno dei temi più caldi affrontati è stato quello sulla legge 194 che tutela il diritto all’aborto per motivi di salute, economici, sociali o famigliari. Questo non avviene sempre per via dell’obiezione di coscienza di cui si avvalgono circa il 60% dei medici italiani, in alcune regioni sfiora addirittura l’80%, che rende molto più complessa per una donna la possibilità di accedere a questo diritto. 

A tal proposito la leader di Fratelli d’Italia si è puntata addosso un faro di attenzione e costernazione esprimendo l’importanza di garantire invece il diritto a non abortire. Come se l’unico problema alla base della scelta individuale di voler interrompere una gravidanza sia la mancanza di sopporto da parte delle istituzioni. 

Il corpo delle donne, lo abbiamo visto recentemente anche negli Stati Uniti e ne ho parlato in un mio precedente articolo, è sempre stato un campo di battaglia su cui si sono scontrate le varie fazioni politiche. Ora più che mai verrà strumentalizzato per ottenere consenso da una fetta di elettori molto specifici da parte di una maggioranza politica con a capo una donna. 

Quindi la prossima volta che qualcuno vi dirà: “Sì ma è una donna. La prima donna a capo del governo italiano”, riflettete sulle varie possibilità di utilizzare il proprio potere e privilegio, vi renderete conto che ne esistono solo due: una che si batte per i diritti di tutti e uno che si batte per la sua minoranza di riferimento. 

Purtroppo, anche questa volta, abbiamo perso una grande opportunità per sfruttare bene il nostro potere di affidarlo.

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Questo blog nasce dall’incontro di tre persone emigrate volontariamente in età adulta dall’Italia in Svizzera e che in questo Paese hanno realizzato esperienze diverse in vari ambiti lavorativi e culturali. 

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