Come tolgo la sabbia del Sahara dalla mia macchina?

Alcune settimane fa a nord delle Alpi è arrivata la sabbia del Sahara. Per un’intera giornata ha dominato un cielo opaco e giallastro, l’aria era densa e una sabbiolina fine ha ricoperto ogni superficie. Non è la prima volta, da quando vivo in Svizzera, che assisto a questo bizzarro fenomeno meteorologico.


Nel più grande deserto secco del mondo, il Sahara, in caso di forti turbolenze, le particelle di sabbia possono sollevarsi per qualche chilometro nell’atmosfera e mentre le più grandi ricadono poco dopo a terra, le piccole, a seconda delle correnti, possono essere trasportate per diverse migliaia di chilometri ad altitudini molto elevate. In presenza di forti correnti meridionali, ad esempio, le particelle di polvere possono raggiungere le Alpi e oltrepassarle, arrivando fino alla Svizzera del nord.


Il giorno successivo quella luce straniante si era già dissolta, ma non il segno lasciato da quel passaggio. In città file di macchine parcheggiate erano imbrattate di goccioline marroni ormai seccate. Indistintamente, tutti quei mezzi di trasporto e sfoggio, dalle Audi, alle Porsche, passando per le Tesla fino ai più comuni Suv, erano ricoperti della sabbia di un deserto africano.

Ho sorriso a questo inusuale accostamento. Così come, qualche giorno dopo, in montagna, invece di trovare la solita neve candida e fresca, un manto giallognolo ricopriva tutta la valle. Il deserto si era mischiato alla neve.

Mi ha fatto molto riflettere questo incontro tra due continenti tanto diversi: Europa e Africa. Due luoghi, il Sahara e la Svizzera contraddistinti dal niente e dal tutto. Il lusso esibito arrogantemente di un certo tenore di vita molto diffuso qui a Zurigo, “sporcato” dal paesaggio più povero e arido della Terra. Mi è parso come un monito della natura, un voler dire: siamo tutti collegati e condizionati dalle reciproche azioni. Se persino un elemento caratteristico di un clima estremamente caldo e asciutto riesce ad attraversare la catena montuosa più alta d’Europa per posarsi sopra un elemento che può esistere solo in condizioni meteorologiche completamente opposte, come possiamo noi, parte di tutto questo, sentirci esentati dalla contaminazione?

Non mi riferisco esclusivamente alla grande crisi ambientale che il nostro pianeta sta subendo, le cui conseguenze riguarderanno tutti, indistintamente. Penso piuttosto alle grandi e tragiche realtà umane: alle guerre civili di cui non sappiamo quasi nulla e che percepiamo lontanissime e incomprensibili, ai flussi migratori lungo la tratta del Mediterraneo, che ci colpiscono in un primo momento, commuovendoci a volte, a seconda dell’intensità delle immagini che ci arrivano, ma la compassione non permane, come quel sottile senso di responsabilità che ci punzecchia soltanto in un primo momento. Noi, dal lato più libero, ricco e avanzato del mondo guardiamo a questi eventi drammatici come a un teatrino di ombre. Ci passano davanti immagini eteree, quasi oniriche, che non vogliamo toccare per non spezzare la nostra grande illusione di essere salvi e al sicuro. Non lo siamo mai stati. Viviamo le nostre sicure vite agiate sopra un equilibrio sorretto dal potere economico e da interessi che per ora ci fanno credere forti e intoccabili.

La Storia racconta un’altra versione dei fatti, ma a noi non piace guardare al passato, “chi si ferma è perduto” è il potente motto con cui spingiamo sempre più avanti le nostre frenetiche vite. Poi un giorno all’improvviso il Sahara scavalca i confini della Fortezza Europa e imbratta ogni cosa, quelle poche certezze materiali che determinano il nostro valore sociale e ci ritroviamo tutti un po’ straniti dal fenomeno, un po’ irritati dal segno che lascia e che ci porta a formulare domande strane.


Su una rivista on line svizzera hanno raccolto alcune delle domande più comuni seguite all’evento. Al di là di quelle più interessate all’aspetto scientifico del fenomeno oppure medico, come per esempio sull’ eventuale pericolosità delle particelle di sabbia per le persone allergiche, ce n’è una che mi ha colpito più di tutte: come tolgo la sabbia del Sahara dalla mia macchina?
Non la togli, caro occidentale, perché tornerà, ancora e ancora, a ricordarci che non bastano muri montuosi o di altra natura, per proteggerci da quell’altra parte di umanità che chiede disperatamente di essere ascoltata e vista.

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Questo blog nasce dall’incontro di tre persone emigrate volontariamente in età adulta dall’Italia in Svizzera e che in questo Paese hanno realizzato esperienze diverse in vari ambiti lavorativi e culturali. 

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