Condannati alla libertà: la salvezza nello sguardo degli altri

Se quarantena, secondo i curatori del Cambridge Dictionary, è stato il termine del 2020, possiamo tutti sperare che libertà sia quello dell’anno appena iniziato. Ma quale libertà? 

In ogni periodo di crisi e a tutti i livelli dell’esperienza, l’impressione è che il contesto di restrizioni, impedimenti e fragilità in cui si vive diventi un impedimento oggettivo all’espressione e alla realizzazione dei propri progetti. La libertà personale così risulta essere “condizionata”, non è solo dal punto di vista sociologico o economico, bensì anche esistenziale e antropologico. Le difficoltà riescono facilmente a piegare in qualche modo tutto l’impeto della vita e la crisi tocca, nel profondo, la possibilità di coltivare liberamente la realizzazione di sé e della propria dignità di persona all’interno di uno spazio collettivo. 

Nei mesi segnati dal COVID che ne è di quel leitmotiv del secolo che si è chiuso un decennio fa, di quell’individualismo di massa che si dà in spregio a qualsiasi vincolo comunitario per affermare il proprio progetto di vita? Si chiede, da più parti, il recupero di una dimensione individuale, più strutturata e cosciente. Un’individualità libera di affrancarsi da vincoli di solidarietà comunitaria per essere, ciascuno, se stesso e, se necessario, anche nell’indifferenza o a danno degli altri. Ma dell’alterità (e del rapporto con il diverso) da noi possiamo davvero farne a meno?

Scriveva il filosofo francese Sartre che siamo condannati a essere liberi: “Sono condannato a vivere sempre al di là della mia essenza, al di là dei moventi e dei motivi del mio atto; sono condannato ad essere libero”: questa libertà non è l’arbitrio o capriccio dell’individuo ma è inerente alla scelta (che Sartre chiama la scelta del progetto) e questa scelta è sempre assurda, per il fatto che non ci è mai data la possibilità di non scegliere. Di rispettare le regole, restare in isolamento, portare la mascherina. Vaccinarsi.

Allo stesso tempo, non possiamo essere liberi se non in connessione con l’Altro: “Quando un altro mi guarda, io non posso sottrarmi, ma devo sottostare e mi sento ferito nel mio essere. Nel sentirmi oggetto dello sguardo altrui io provo vergogna, che è il sentimento di essere ciò che sono, ma per un altro”, che scopre la nudità del nostro essere. In questo senso, come argomenta Sarte, la nostra libertà risiede nella scelta di soggettivare e di fare nostro quello che abbiamo ricevuto dagli altri: il nostro essere nello sguardo altrui. 

Dall’alterità non si può uscire perché l’Altro detiene il segreto del proprio essere e, nel contempo, senza l’Altro questo essere non sarebbe possibile.

Da qui, il passo è breve: la libertà “di tutti” è in realtà sempre un “mondo del sé” che incontra un “mondo del noi”, una comunità che lungi dall’abolire le differenze in un’omogeneità indistinta, accoglie la pluralità delle singolarità, dell’io e dell’Altro, legati – come diceva Elvio Fachinelli – da “una relazione di eguaglianza fondata tra non uguali”. Nella pandemia causata dal Coronavirus, nessuno si può salvare, libero ma da solo, senza il rapporto con l’Altro. Sedall’inferno pandemico ci si può salvare, tale salvezza non è possibile che attraverso gli altri. Anzi, negli altri.

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Questo blog nasce dall’incontro di tre persone emigrate volontariamente in età adulta dall’Italia in Svizzera e che in questo Paese hanno realizzato esperienze diverse in vari ambiti lavorativi e culturali. 

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