Cosa c’entra “la signora degli alberi” con le elezioni del Parlamento UE?

Vent’anni fa il Premio Nobel per la pace veniva dato a Wangari Muta Maathai. Era nata il primo aprile del 1940 in Kenya, di origine modeste e anche per questo fece clamore il fatto che divenne la prima donna centroafricana a ottenere una laurea in Scienze Biologiche e a insegnare presso l’università di Nairobi nel dipartimento di veterinaria. Ma non fu questa, ovviamente, la ragione che le valse il Nobel. Così come non fu “premiata” per il successo della sua elezione nel 2002 nel Parlamento del Kenya, con uno schiacciante 98% dei voti, e la sua nomina a vice-ministra dell’Ambiente, delle Risorse naturali e della Fauna selvatica. 

Wangari Muta Maathai era la “signora degli alberi”, protagonista del Green Belt Movement, colei che, assieme all’aiuto delle donne delle comunità locali, aveva piantato oltre 30 milioni, attorno ai centri abitati, vicino alle scuole e a fianco delle chiese, battendosi contro l’accaparramento di terre e l’assegnazione rapace di terreni forestali. Per questo ricevette il Nobel per la pace nel 2004. Perché chi meglio di lei poteva essere eletta a simbolo delle migliori forze africane e della lotta per promuovere la pace e il benessere nel continente.

Così quando, mentre si trovava in Africa, nella valle dominata dal Monte Kenya, le venne comunicato telefonicamente di essere stata selezionata come vincitrice del Premio Nobel per la pace per “il suo contributo allo sviluppo sostenibile, alla democrazia e alla pace”, Wangari fermò appena potè l’auto sulla quale viaggiava, scese e fece quello che da anni professava: piantò un albero.

Quella di Wangari Muta Maathai, voce simbolo della lotta per la pace, al fianco della difesa dei diritti umani, della libertà e dell’ambiente, non fu certo una vita facile, a partire dall’infanzia e dal contesto di povertà in cui è cresciuta. Una situazione che ricorda lei stessa nella sua Nobel Lecture a Oslo, dove sottolinea anche:

“All’inizio il lavoro è stato difficile perché storicamente la nostra gente è stata convinta di essere povera e di non avere non solo il capitale, ma anche le conoscenze e le competenze necessarie per affrontare le proprie sfide. Sono invece condizionate a credere che le soluzioni ai loro problemi debbano venire da “fuori”. Inoltre, le donne non si rendevano conto che il soddisfacimento dei loro bisogni dipendeva dal fatto che il loro ambiente fosse sano e ben gestito. Non sapevano nemmeno che un ambiente degradato porta a una lotta per le risorse scarse e può culminare nella povertà e persino nel conflitto. Non erano nemmeno consapevoli delle ingiustizie degli accordi economici internazionali”.

E poi conclude:  “Non ci può essere pace senza uno sviluppo equo e non ci può essere sviluppo senza una gestione sostenibile dell’ambiente in uno spazio democratico e pacifico. Questo cambiamento è un’idea che ha fatto il suo tempo.”

Ecco perché oggi più che mai – vorrei aggiungere io – è necessario un ritorno della Politica. Quella con la P maiuscola. Solidarietà, ambiente, pace: il loro conseguimento richiede riconoscimento e azione politica; non possiamo insomma affrontare le incombenti crisi economiche, sociali e climatiche (nonché le loro conseguenze democratiche) senza l’impegno risoluto della politica. L’energia e l’ingegno delle persone “comuni” hanno un valore immenso e non devono certamente essere lasciarli inutilizzati. Necessitano tuttavia di trovare una “voce” che amplifichi e sostenga il loro messaggio. Quella voce, forse anche imperfetta, la possiamo scegliere tra pochi mesi andando a votare alle elezioni europee. E decidendo se pace e sviluppo equosostenibilità ambientale e democrazia possono trovare spazio nell’Europa dei prossimi anni. 

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Questo blog nasce dall’incontro di tre persone emigrate volontariamente in età adulta dall’Italia in Svizzera e che in questo Paese hanno realizzato esperienze diverse in vari ambiti lavorativi e culturali. 

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