Cosa sta accadendo in Palestina?

I tragici fatti di sabato 7 ottobre 2023, compiuti dal gruppo terroristico di Hamas – che governa la Striscia di Gaza – con una complessa operazione via mare, via terra e via aria contro Israele, nella quale sono stati uccisi più di 1.200 tra civili e militari israeliani e nella quale sono stati presi in ostaggio 220 israeliani e stranieri, poi portati nella Striscia di Gaza, hanno assunto  un carattere   di eccezionale gravità.

All’attacco di Hamas, Israele ha risposto in una maniera estremamente violenta: tra le altre cose ha iniziato a bombardare la Striscia (compreso il campo profughi palestinese a Jabalia, che potrebbe portare ad una condanna di Israele per crimini di guerra, così come pubblicato dall’Agenzia dell’ONU: “Dato l’elevato numero di vittime civili e l’entità della distruzione a seguito degli attacchi aerei israeliani sul campo profughi di Jabalia, temiamo seriamente che si tratti di attacchi sproporzionati che potrebbero equivalere a crimini di guerra”), ed ha iniziato un’operazione di terra con il dichiarato obiettivo di eliminare del tutto Hamas. Certo è che, ad oggi 22 novembre, l’“Operazione Vendetta”, così come definita da Mark Regev, consigliere politico del premier israeliano Benyamin Netanyahu, in un’intervista a Msnbc, ha già provocato oltre 14.000 morti tra i civili, oltre la metà donne e bambini e decine di migliaia di feriti che non potranno ricevere cure adeguate  a causa del blocco da parte di Israele  di gran parte dei rifornimenti di carburante, medicinali, cibo e acqua.

Come sempre avviene in questi casi, l’opinione pubblica mondiale si divide in tifoserie, come se si trattasse di una partita di calcio. Lo abbiamo visto in tempi recenti per la guerra tra Russia e Ucraina, ma anche in tutti gli altri conflitti (che, a ben pensarci, hanno sempre visto coinvolti gli USA).

Ad alimentare le tifoserie ci pensano i mass media, sempre schierati e fortemente polarizzati dalla parte dell’Occidente e degli Stati Uniti, i quali possono contare sulle scarse conoscenze storiche, politiche e socio-economiche sottese ai vari conflitti di gran parte della popolazione e che vedono, proprio nel cosiddetto “mondo civilizzato” buona parte delle responsabilità.

Per cercare di comprendere meglio i fatti che hanno portato alla situazione a cui stiamo assistendo, credo che sia opportuno, quantomeno, conoscere la Storia recente della Palestina e del popolo ebraico sparso per il mondo, a partire dal fine ‘800.

 

LA SITUAZIONE IN MEDIO ORIENTE A FINE ‘800

A fine ‘800 la regione della Palestina è parte dell’Impero Ottomano da quattro secoli: i turchi garantiscono una certa autonomia ai vari popoli e in questa regione convivono pacificamente arabi ed ebrei, insieme ad altre etnie. Nel 1887 lo Stato ottomano conferisce a Gerusalemme autonomia amministrativa su alcune aree del territorio della Palestina, nomina i primi deputati palestinesi al Parlamento di Istanbul e riconosce Gerusalemme come luogo delle tre grandi religioni monoteistiche: elementi che concorrono a formare gli elementi della specificità palestinese. Il censimento del 1849 documenta che la popolazione palestinese, tutta risalente al ceppo semita, ammonta a 350.000 abitanti (allora l’Italia contava 22 milioni di abitanti e gli Stati Uniti 23) che vivono in 650 villaggi e 13 città  cosi ripartita su base religiosa: 85% musulmani sunniti, 11% cristiani, 4% ebrei (altro che “una terra senza un popolo”!).

LA NASCITA DEL SIONISMO

A fine secolo, in Europa crescono i nazionalismi, ma anche l’antisemitismo, che si esprime con i pogrom, sommosse sanguinose contro gli Ebrei, divenuti capri espiatori del malcontento popolare, diffusi soprattutto in Russia e nei Paesi dell’Est Europa, ma non solo.                                                                 

In Francia, nel 1893, un ufficiale dell’esercito francese con origini ebraiche, il capitano Alfred Dreyfus, viene ingiustamente accusato di alto tradimento; l’opinione pubblica francese si divide tra colpevolisti e innocentisti e tra questi ultimi si distingue Émile Zola, con il suo intervento giornalistico intitolato  “J’accuse”. Nonostante tutte le prove a suo favore, Dreyfus viene degradato e condannato ai lavori forzati sull’Isola del Diavolo, nella Guyana francese. Solo 6 anni più tardi l’ufficiale ottiene la grazia e l’inizio di una lenta riabilitazione. Il processo viene seguito anche dallo scrittore e giornalista ebreo ungherese Theodor Herzl che, per come si venne trattato il caso e per i sentimenti di diffuso antisemitismo, si convince della necessità della costituzione di una società ebraica entro uno Stato proprio, con distinta personalità internazionale, dove convogliare in pacifica immigrazione gli ebrei di tutto il mondo. Quale sede di tale Stato ebraico egli pensa in primo luogo alla Palestina (di cui tenta invano l’acquisto dal sultano), ma anche all’Africa o all’Argentina, divenendo il fondatore della Organizzazione Sionista Mondiale.

 

COS’È LA DICHIARAZIONE DI BALFOUR

Il progressivo disfacimento dell’Impero ottomano rende evidenti i fermenti autonomisti dei popoli arabi. Durante la Prima guerra mondiale Inghilterra e Francia promisero agli arabi l’indipendenza in cambio del loro appoggio contro il Sultano, alleato della Germania. Ma, in violazione a tale impegno, nel 1916 Londra e Parigi stipulano segretamente gli accordi per spartirsi il Medio Oriente e, approfittando del sionismo, per includere la Palestina nel proprio sistema coloniale, L’Inghilterra, per mano del suo Ministro degli Esteri. Lord Balfour, consegna al potente banchiere ed esponente sionista, Lord Rothschild, una lettera nella quale il governo di Sua Maestà si dichiara pronto a fare della Palestina la patria degli ebrei.

1918 -1939 AGGRESSIVITA’ ANGLO SIONISTA – INSURREZIONE PALESTINESE

Ovviamente, i delegati delle associazioni musulmano-cristiane respingono la “dichiarazione di Balfour” e chiedono, inascoltati, l’indipendenza promessa. Intanto, gli ebrei vittime di persecuzioni in Russia e Polonia scelgono al 99% di emigrare verso gli Stati Uniti e solo l’1% verso la Palestina. Per dirottare l’emigrazione verso la Palestina, i sionisti acquistano dai latifondisti ottomani i terreni requisiti ai palestinesi impossibilitati a pagare le esorbitanti tasse all’Impero ottomano che passano così nelle mani dei sionisti, spesso all’insaputa dei contadini che quei terreni coltivano e sui quali vivono.

Con l’ascesa del nazismo, molti ebrei fanno rotta verso la Palestina per sfuggire alla Shoah, ma le tensioni con gli arabi aumentano di pari passo con la progressiva invadenza sionista che dispone ora di una forza paramilitare semi-clandestina, l’Haganà. Gli scontri più drammatici di quel periodo sono quello innescato da una provocazione sionista sulla Spianata delle Moschee e quello di Hebron nel quale trovarono la morte 67 ebrei e 116 musulmani e cristiani palestinesi.

 

1948: CREAZIONE DELLO STATO DI ISRAELE

Negli anni ’30, oltre a l’Haganà, si aggiungono altre due formazioni paramilitari, l’“Irgun” e la “banda Stern” che concorrono ad instaurare un regno del terrore rivolto non solo verso le comunità di nativi musulmani e cristiani, ma anche verso gli ebrei che non si uniscono a loro, i quali vengono rapinati o vedono distrutte le vetrine dei loro negozi.

I massacri ad opera dei sionisti proseguono ininterrottamente, documentati anche dal “Libro bianco” del luglio 1946, pubblicato dalle autorità britanniche, quando l’Irgun fa saltare in aria il principale albergo di Gerusalemme, il King David, sede del Governatore britannico, provocando la morte di 93 fra inglesi, palestinesi ed ebrei.

Nel 1947 le Nazioni Unite elaborano un piano per la spartizione della Palestina che vede favoriti gli ebrei a cui vengono assegnati più del doppio dei territori, a fronte di una popolazione pari alla metà di quella palestinese; inoltre, i palestinesi avrebbero dovuto rinunciare a Gerusalemme (che avrebbe dovuto rimanere neutrale), all’importante riserva idrica rappresentata del lago di Tiberiade e ai fertili terreni della regione costiera. Il piano venne accettato dai sionisti che lo vedevano come trampolino di lancio per l’annessione di tutto il territorio, ma respinto dai palestinesi.

Il 14 maggio 1948 gli inglesi concludono il loro mandato e un minuto dopo il polacco David Grün (alias Ben Gurion) dichiara la nascita dello Stato di Israele, uno stato etnico “per soli ebrei”, senza confini dichiarati e senza Carta Costituzionale; il giorno successivo sarà ricordato dai palestinesi come la catastrofe, in arabo Naqba: oltre 400 villaggi distrutti e 750.000 palestinesi costretti ad un esodo forzato, metà dei quali verranno accolti nei campi profughi dei Paesi confinanti, quali Giordania (allora chiamata Transgiordania), Siria e Libano, mentre la rimanente metà verrà confinata nei campi profughi in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza.

 

GUERRE ARABO-ISRAELIANE

 

Dal 1948 al 1973 si susseguono quattro conflitti tra Israele e i Paesi arabi confinanti che rivelano la superiorità militare di Israele che vede estendere i propri territori, ben oltre a quelli stabiliti dall’ONU nella risoluzione n° 181 del 1947.

Nel 1973, dopo l’offensiva a sorpresa di Egitto e Siria, cui fa seguito una controffensiva israeliana (che si fermerà a pochi chilometri da Il Cairo solo grazie a un cessate il fuoco negoziato dalle Nazioni Unite), termina la fase del coinvolgimento diretto degli Stati arabi in guerre dichiarate contro Israele.

Nel frattempo, l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP), creata nel 1964, viene ammessa all’assemblea generale dell’ONU come rappresentante del popolo palestinese.

A causa del crescente senso di frustrazione dei palestinesi  e dell’assenza di progressi nel trovare una soluzione duratura per le loro richieste umanitarie e nazionaliste, nel 1987 scoppia una massiccia rivolta popolare denominata prima Intifada, durante la quale viene fondata Hamas, un’organizzazione politica e militare palestinese che ha un’importante presenza soprattutto nella Striscia di Gaza. 

 

DICHIARAZIONE DI INDIPENDENZA DELLA PALESTINA

 

Il 15 novembre 1988 Yasser Arafat, leader dell’OLP, dichiara l’indipendenza della Palestina. La prima sollevazione di massa del popolo palestinese, confinato nelle zone di Gaza, Cisgiordania e Gerusalemme Est, si conclude nel 1993 con gli Accordi di Oslo, firmati da Arafat e Yitzhak Rabin (primo ministro israeliano): l’intesa prevede il ritiro delle forze israeliane dalla Striscia di Gaza e da alcune aree della Cisgiordania, oltre alla creazione di uno Stato palestinese entro cinque anni che non si verificherà. Il processo di pace naufraga nel 1995, quando Rabin viene assassinato da un nazionalista israeliano. Nel 2000 scoppia la seconda Intifada, a seguito della quale Israele costruisce un muro al confine con la Cisgiordania. Termina ufficialmente nel 2005, ma da allora continuano a verificarsi tensioni e attacchi, mentre lo status giuridico, politico e istituzionale della Palestina rimane una questione spinosa: oggi è uno Stato riconosciuto da 138 (su 193) Paesi membri dell’ONU.

 

LA STRISCIA DI GAZA

 

Per comprendere perché questa striscia di terra affacciata sul Mediterraneo è spesso motivo di tensioni, conflitti e scontri armati, occorre conoscere un po’ della Storia e delle condizioni socioeconomiche in cui vive la popolazione.

La Striscia di Gaza si estende su una superficie di 360 Kmq (per rendere l’idea, come la Valsesia da Varallo ad Alagna) ed è abitata da una popolazione di oltre 2 milioni di persone (una delle aree più densamente popolate al mondo).

Occupata da Israele durante la Guerra dei Sei Giorni del 1967, nel 2005 viene evacuata unilateralmente sia dai coloni che dall’esercito israeliano.  Questo ha portato alla completa autonomia di Gaza sotto il controllo palestinese e dal 2007 è governata da Hamas. Tuttavia, nello stesso anno, Israele ha imposto un blocco terrestre, marittimo e aereo sulla Striscia di Gaza, limitando notevolmente l’accesso a beni e persone. Questo blocco è stato oggetto di critiche da parte della comunità internazionale e ha portato Gaza ad affrontare gravi sfide umanitarie, compresa la scarsità di risorse, tra cui cibo, acqua potabile ed elettricità. Tale atto costituisce una violazione della quarta Convenzione di Ginevra, concepita per proteggere i civili in territorio nemico o occupato.

Sebbene una piccola parte della popolazione possa uscire dalla Striscia ogni giorno per lavorare in Israele, è obbligata a rientrare al termine del turno. Per gli altri cittadini di Gaza, è consentito varcare i confini solo in casi estremi, come ad esempio per ricevere cure mediche. L’organizzazione non governativa Human Rights Watch ha definito Gaza come “la più grande prigione a cielo aperto”.

 

 

 

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Questo blog nasce dall’incontro di tre persone emigrate volontariamente in età adulta dall’Italia in Svizzera e che in questo Paese hanno realizzato esperienze diverse in vari ambiti lavorativi e culturali. 

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