Distopia

Il termine utopia fu coniato da Thomas More e indica etimologicamente dal greco un “non luogo” ma rimanda anche per assonanza con la pronuncia inglese di termini di origine greca anche al concetto di “buon luogo” con riferimento a un sistema politico, sociale e religioso che non esiste nella realtà ma che viene proposto come modello ideale in contrapposizione alla realtà esistente. More utilizzò questo termine per la sua opera più famosa del 1516, interpretata come una critica alla società del suo tempo attraverso la rappresentazione di un’immaginaria società ideale situata su un’isola fittizia.

https://www.lafeltrinelli.it/utopia-libro-tommaso-moro/e/9788807902260

Il termine distopia fu invece coniato dal filosofo John Stuart Mill che lo utilizzò durante una seduta del Parlamento inglese nel 1868 sul calco dell’etimologia greca di utopia per indicare un’antiutopia, con rifermento a una società del futuro in cui lo sviluppo di tendenze negative del presente proietta l’esistenza di un “cattivo luogo” di una società dispotica e opprimente. La cultura inglese aveva del resto prodotto riflessioni filosofiche e letterarie che ipotizzavano o quantomeno paventavano sbocchi apocalittici della civiltà umana come le opere di Swift e di Malthus testimoniano.

L’uso del termine “distopia” rimase per lungo tempo appannaggio di ristretti circoli intellettuali   anche se, soprattutto nella prima metà del Novecento fiorì un’ampia letteratura distopica con autori come Benson, London, Huxley e Orwell per citarne solo alcuni mentre in campo cinematografico si possono includere in questo filone, ad esempio, i film di   Fritz Lang.

In Svizzera   fra il 1971 e il 1991 il termine distopia, nell’ambito dei media, viene registrato solo in due contesti mentre fra il 2011 e il 2021 se ne registrano ben 4095 usi con una tendenza a un incremento ancora più netto nel primo trimestre   del 2022.

Ovviamente questo aumento esponenziale dell’uso del termine “distopia” è il riflesso del corrispondente aumento di produzioni culturali che esprimono una visione cupa del futuro che ci attende.

Si assiste a un proliferare di opere letterarie ma anche cinematografiche e televisive che sviluppano due filoni fondamentali; quello post apocalittico che delinea società umane sopravvissute a cataclismi causati in genere dall’uomo e quello che prefigura società totalitarie. Nel primo filone va rilevato come alla paura del nucleare si affiancano sempre più frequentemente disastri di tipo ambientale a cui si collegano, anche per ovvi motivi contingenti, diffusioni di pandemie.

Il filone totalitario vede invece proiettate e amplificate nel futuro tendenze antidemocratiche già visibili nel mondo di oggi, con una particolare accentuazione della paura di un uso distorto degli sviluppi della scienza e della tecnica asservite a un potere dispotico.

Ovviamente questo è il frutto di una perdita di fiducia in un futuro che possa risolvere i problemi che investono il mondo attuale; si è diffusa l’idea, soprattutto nel mondo occidentale, che i problemi che affliggono l’umanità siano destinati ad aggravarsi fino a determinare l’estinzione dell’umanità o quanto meno il venir meno di condizioni di vita umanamente accettabile. Le opere distopiche del passato hanno spesso assunto il significato di  una denuncia allarmata   di una realtà umana deprecabile frutto di distorsioni delle società  presenti forse ancora correggibili . Le distopie attuali, riflesso di una realtà sempre più degradata, tendono a proiettare nel futuro il concretizzarsi di catastrofi inevitabili e rafforzano un diffuso senso di impotenza presente soprattutto nel mondo giovanile. È evidente come i giovani soffrano più di tutti di questa mancanza di un futuro vivibile, causa non ultima del grave disagio che li colpisce e le cui manifestazioni sono osservabili quotidianamente,

La gravità dei problemi che angustiano l’umanità non è frutto dell’allarmismo di pochi intellettuali né il prodotto del “tramonto dell’Occidente” ma si basa su dati oggettivi e incontrovertibili. A questo pessimismo purtroppo fondato bisogna comunque opporre una resistenza che contrasti il senso di impotenza dominante se non altro per limitare i danni che le attuali distorsioni sociali e ambientali sembrano rendere inevitabili.

A questo scopo occorre anche recuperare il senso positivo dell’utopia come prefigurazione di un diverso modello di convivenza fra gli uomini e di  un rapporto meno conflittuale con l’ambiente,

 

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Questo blog nasce dall’incontro di tre persone emigrate volontariamente in età adulta dall’Italia in Svizzera e che in questo Paese hanno realizzato esperienze diverse in vari ambiti lavorativi e culturali. 

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