Esercizi di identità

Perché siamo così affascinati dal tema dell’identità? Perché ci riguarda tutti e ingloba ogni nostro campo d’azione, dalla sfera privata e relazionale a quella professionale. La storia della letteratura conferma l’interesse e l’urgenza degli scrittori nel trattare la questione esplorando ogni possibile interpretazione e formulando una vasta gamma di conclusioni. Dal riconoscimento sociale dell’identità individuale, trattato da Luigi Pirandello e Italo Svevo, al surreale Ritratto di Dorian Grey fino al dualismo di Dottor Jekill e Mr. Hyde, disponiamo di infiniti esempi in cui la narrazione ruota intorno a una domanda portante: chi siamo realmente?
La questione si complica se ampliamo il campo di indagine alle nostre relazioni. Siamo davvero sicuri di conoscere l’identità profonda di chi amiamo? E cosa vedono gli altri di noi? Ciò che mostriamo corrisponde a ciò che siamo realmente o sono rappresentazioni di un copione che abbiamo scelto di interpretare?

Claudia Petrucci, nel suo romanzo d’esordio “L’esercizio” uscito per La nave di Teseo nel 2020, prova a rispondere in maniera lucida e molto spietata a questi interrogativi. C’è una pedina in questa storia che è Giorgia, una ragazza fragile che tenta di tenere a bada i suoi problemi di schizofrenia portando avanti una vita il più possibile priva di scossoni emotivi e cambiamenti. Lavora come commessa in un supermercato e convive con un ragazzo che ha rinunciato ai suoi sogni molto presto per occuparsi del bar di famiglia. Ci sono poi due giocatori: Filippo, il suo ragazzo e Mauro, il suo ex insegnate di teatro. Perché definisco questo terzetto di personaggi con dei ruoli di gioco? Perché nell’apparente tentativo di aiutare Giorgia a recuperare la sua identità, dopo una grave crisi schizofrenica, manipoleranno la sua memoria attraverso un copione scritto da loro, che dovrebbe  permetterle di tornare a essere come prima dell’incidente. Ma chi era realmente la Giorgia che conosceva Filippo? Una ragazza semplice, senza particolari ambizioni, sempre educata e bisognosa di sostegno emotivo. Sicuramente non quella che conosceva Mauro ai tempi della scuola di recitazione e che lui ricorda come spavalda e ambiziosa, seducente e molto talentuosa. Chi ha conosciuto la vera Giorgia? In quale delle due versioni lei vorrebbe rientrare, ma soprattutto questo esercizio di ricostruzione della sua identità a chi serve realmente?

È incredibile pensare che un’autrice così giovane sia riuscita ad affrontare tematiche psicologiche e sociologiche così complesse con uno sguardo e un linguaggio tanto inediti. Al di là della storia intrigante, dal ritmo così sostenuto da far divorare il romanzo, l’aspetto più importante è la lunga riflessione che lascia. 

La prima domanda che questo libro mi ha obbligato a pormi è stata: cosa succederebbe se per gioco provassi a modificare il mio copione, cominciando a comportarmi e a dire cose molto lontane dall’immagine che gli altri hanno di me? Che tipo di reazioni scatenerei, come mi sentirei? Ho diritto a modificare drasticamente la mia identità se ne sentissi il bisogno? Le persone che mi amano sarebbero disposte ad accettarlo?

Il secondo grande quesito è stato: la mia identità è frutto di una lunga serie di aggiustamenti e compromessi messi in atto per aderire il più possibile all’idea che gli altri si sono fatti di me? Se così fosse crollerebbe tutto il principio secondo cui «chi ti ama ti accetta per come sei», sostituito da un più cinico «siamo come ci vede chi ci ama», ossia proiezioni di un’immagine costruita fuori di noi, da una società che ci vuole in un certo modo, da persone che ci accettano, senza esserne realmente consapevoli, a patto di aderire a certi standard. 

È un discorso complesso che ad inoltrarsi troppo rischia di gettarci nel baratro della confusione e dell’inquietudine, ma ritengo anche fondamentale che libri come questo continuino a ravvivare il fuoco della curiosità. Perché ha a che fare con la libertà e anche se non ne verremo mai a capo credo sia importante chiedersi sempre se la persona che abbiamo costruito, che porta il nostro nome, abita il nostro corpo e usa la nostra voce, ci faccia sentire bene. Se dopo aver compiaciuto e rassicurato i nostri cari,  i nostri colleghi di lavoro ed i nostri amici, rimanga un residuo di integrità per guardarci allo specchio e poter dire in assoluta onestà: questo sono io.

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Questo blog nasce dall’incontro di tre persone emigrate volontariamente in età adulta dall’Italia in Svizzera e che in questo Paese hanno realizzato esperienze diverse in vari ambiti lavorativi e culturali. 

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