Expat o migrante? Ecco come voterò per il Parlamento Ue

In un articolo di quasi un decennio fa e apparso su The Guardian, Mawuna Remarque Koutonin, editore di SiliconAfrica.com, scriveva: 

“Ci si dovrebbe aspettare che chiunque vada a lavorare fuori dal proprio Paese per un periodo di tempo sia un expat, indipendentemente dal colore della pelle o dal Paese. Ma in realtà non è così: expat è un termine riservato esclusivamente ai bianchi occidentali che vanno a lavorare all’estero. Gli africani sono immigrati. Gli arabi sono immigrati. Gli asiatici sono immigrati. Tuttavia, gli europei sono espatriati perché non possono essere allo stesso livello delle altre etnie. Sono superiori. Immigrati è un termine riservato alle “razze inferiori”.

Al tempo, quando lessi quell’articolo, vivevo all’estero da quasi sette anni. Ricordo che mi era stato chiesto di scrivere un pezzo sulla condizione di emigrata (abitavo in Svizzera). E io non sapevo cosa dover scrivere, esattamente.

I problemi con la lingua? Le difficoltà iniziali a creare legami come conseguenza della mia scarsa conoscenza della lingua del luogo? La cucina o il clima differenti? 

Oppure la curiosità di scoprire, giorno per giorno, nuove vie, nuovi costumi, altre storie? L’interesse a mettersi in gioco? La possibilità di fare carriera (o anche no)? 

Mi interessava scrivere più del secondo gruppo di domande; le sentivo più mie. Più consoni alla realtà che stavo vivendo.

Mi sono sempre sentita una expat. E solo inconsciamente coglievo la portata di quella classificazione che mi ero auto-assegnata. 

Non mi sono mai sentita una migrante. Ma non per il motivo che scrive Mawuna Remarque Koutonin (e che pur riconosco possa, purtroppo, per alcuni valere), ovvero il fatto di avere la pelle bianca e quindi di non volersi identificare con “certi altri”.

E nemmeno mi sento una expat perchè ho la presunzione di appartenere a un gruppo di professionisti istruiti e ricchi che lavorano all’estero, in opposizione a chi è impiegato in posizioni meno privilegiate… E infatti abito alle porte di Bruxelles ma non lavoro “nella bolla europa”.

Queste definizioni di expat nel mio caso non valgono. 

Nel mio caso – ma posso immaginare (sperare) che non sia solo il mio? E anche per questo ne scrivo… 

Direi che il fatto che una persona dica di essere un expat, o meno, dipende non sempre dall’origine, come è stato spesso scritto, ma dalle motivazioni che stanno alla base della sua decisione di trasferirsi all’estero.

Per alcuni di noi, che oggi ci chiamiamo espatriati, vivere all’estero è piuttosto una scelta di vita che non è dovuta a necessità economiche o a circostanze difficili nel Paese d’origine.

È questo che mi differenzia dai migranti italiani che sono arrivati in Belgio prima di me, non il mio reddito o la mia origine. Chi è con me?

Con gli anni, si è andato solidificando questo mio sentirmi parte di una comunità vasta, non legata esclusivamente o principalmente a storie nazionali. Una comunità mobile. Aperta. Attenta a una cittadinanza attiva svincolata da legami “di sangue”. È proprio anche in virtù di tutto questo, che alle prossime elezioni europee ho già scelto di non dare il mio voto a un candidato italiano. Perchè in quanto europea residente all’estero e iscritta all’AIRE posso optare per il voto per i candidati ai seggi spettanti al Paese membro in cui risiedo. Quindi mi recherò presso i seggi istituiti dalle autorità belga. 

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Questo blog nasce dall’incontro di tre persone emigrate volontariamente in età adulta dall’Italia in Svizzera e che in questo Paese hanno realizzato esperienze diverse in vari ambiti lavorativi e culturali. 

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