Il lupo, l’agnello e la contadinizzazione della politica

Mauro Balboni

Il lupo, l’agnello e la contadinizzazione della politica

Una fitta coltre di neve copre in questo inizio dicembre le montagne svizzere. Ma già nei prossimi giorni le temperature si alzeranno dovunque, rendendo molti versanti instabili e inaccessibili anche a guardiacaccia e cacciatori esperti. No, non stiamo parlando di sci fuori pista. Ma di quante possibilità avranno i lupi svizzeri di farcela ad arrivare al 1° febbraio 2024 e quindi di rimandare per qualche mese la sorte loro assegnata dal Consiglio Federale con la recente Ordinanza (fino al 1° settembre, quando la caccia di regolazione riprenderà fino al gennaio successivo e così poi in pratica per ogni anno seguente)[1].

La Svizzera decreta così la regolazione preventiva su tutto il territorio nazionale, cioè l’eliminazione di interi branchi e la drastica riduzione di altri per evitare, inter alia, danni futuri all’economia alpestre, essenzialmente la predazione di ovini e caprini all’alpeggio (attacchi a bovini e altri animali sono infrequenti). I lupi vengono eliminati non quando siano dannosi ma perché si presume che la loro presenza rappresenti un pericolo. Una misura per perseguire la convivenza con una specie che rimane giuridicamente protetta? Oppure un atto politico che ha più a che fare con la«liberazione dai grandi predatori» richiesta da alcuni settori della società? Andiamo per gradi.

Le dimensioni dell’intervento suggeriscono più un tentativo di eradicazione del lupo da molte zone. Le attuali autorizzazioni sono state concesse per l’eliminazione totale di 12 branchi. Sui circa 30 totali stimati in territorio svizzero nel 2023 (dei quali però almeno 8 transfrontalieri, condivisi con Francia e Italia). Oltre ai branchi da eradicare totalmente, l’Ordinanza consente di eliminare fino a tre quarti dei cuccioli dell’anno in altri 6 branchi. In concreto, possono essere eliminati almeno 100 dei 300 lupi oggi stimati in territorio elvetico. Da non dimenticare che queste sono solo le uccisioni preventive: l’eliminazione di animali effettivamente dannosi o pericolosi è già oggi possibile e continuerà ad esserlo.

In aggiunta alle uccisioni già deliberate, Il Consiglio Federale ha stabilito un numero minimo di branchi da mantenere sul territorio svizzero: 12, sui 30 stimati a fine 2023. In pratica, due terzi dei lupi possono venire eliminati.  Al momento, non è stato chiarito dai servizi federali su quali criteri quel numero minimo di 12 branchi sia stato stabilito. Forse si tratta di un numero minimo per evitare l’eradicazione totale, che metterebbe la Svizzera in un contenzioso giuridico ai sensi della Convenzione di Berna e aprirebbe la strada ad iniziative referendarie che approfondirebbero il già chiaro divario nella società svizzera tra città e mondo rurale/montano.

Le regolazioni preventive avrebbero lo scopo di “insegnare” ai lupi a stare lontani dall’uomo e dalle sue attività. Esiste a detta di vari esperti un merito scientifico in questo approccio, ma bisognerà vedere i risultati alla luce dei fatti. Prudenza sarebbe stata necessaria. Il noto biologo e moderatore televisivo su temi ambientali, Andreas Moser, non la pensa affatto così e ritiene anzi che «con questa decisione il Parlamento svizzero dimostri la sua incompetenza in materia»[2]. Certamente, anche i politici cantonali come quelli dei Grigioni che paragonano la gestione dei grandi predatori a quella di cervi o stambecchi, dimostrano la loro[3]. Recenti studi su un esperimento simile in Slovacchia mostrano che l’approccio della regolazione preventiva è tutt’altro che garanzia di eliminazione dei danni[4]. Quali saranno gli effetti ecologici finali è ad oggi impossibile da definire.

La inquietante sensazione che la decisone sia politica e non scientifica viene aumentata dal seguente paradosso: l’Ordinanza entra in vigore nonostante il conteggio delle aggressioni agli alpeggi negli anni 2022 e 2023 non mostri alcun aumento significativo, nonostante l’aumento del numero dei branchi. In alcune zone le predazioni sono addirittura diminuite (grazie a un approccio integrato di coesistenza che comprende la difesa delle greggi e, dove e se necessario, abbattimenti mirati). Da notare che i danni agli allevatori vengono rimborsati e che, comunque, le pecore perse ogni anno sugli alpeggi per fattori accidentali sono il triplo rispetto a quelle predate dai lupi[5].

Le decisioni sembrano essere state prese senza una solida base scientifica e con un notevole concorso di arbitrarietà. Quasi che il Consiglio Federale abbia accordato ai Cantoni la facoltà di sparare al lupo perché è il lupo più che per motivi fattuali. La possibilità di reale “educazione” dei branchi – che avviene tramite l’uccisione di un certo numero di cuccioli in presenza del resto del branco – avrebbe potuto essere verificata scientificamente su una scala più ridotta e poi eventualmente allargata.

L’eliminazione totale dei branchi, poi, riprende iniziative diffuse nell’ambiente montano, non solo svizzero, per la «liberazione dai grandi predatori». In realtà, dimostra solo una stolida volontà di negazione dei grandi cambiamenti ecologici e sociali in atto anche in Svizzera (es. aumento della superficie forestale, declino dell’allevamento marginale, abbandono rurale e montano, ecc.). Ai quali si risponde con la mentalità del 1800, quando il lupo era una reale minaccia per la dura e disagiata economia di sussistenza montana. Ci sarà una variazione di tendenza?

Non a mio parere. Il lupo è il perfetto nemico che permette di suonare a raccolta le campane del villaggio e di sterilizzare ogni dibattito sul futuro delle montagne e dell’ambiente. L’economia montana che l’Ordinanza per la regolazione preventiva intende difendere è in pratica l’allevamento ovino all’alpeggio. Che costa al contribuente svizzero una cifra di almeno 20 milioni di franchi all’anno in sussidi pagati agli allevatori, senza i quali le pecore semplicemente non ci sarebbero[6]. Questo in un paese in cui di carne di agnello se ne mangia davvero poca (1 kg all’anno sui circa 50 totali di carne per consumatore, ovvero il 2%) e quella che si mangia viene per ¾ dall’estero. Rimangono circa 300 grammi di carne ovina svizzera all’anno a persona. Cioè niente. La lana si vende (quando la si vende) a cifre ridicole.

La principale attività economica legata all’alpeggio è l’incasso dei sussidi pubblici ma, se vi avventurate tra le complicatissime regole, vi accorgerete che non si tratta certo di cifre favolose. Al punto che è lecito chiedersi: quante famiglie svizzere vivono realmente solo dei proventi delle pecore all’alpeggio? Ma è una domanda inutile: quello che si finanzia e si difende dal lupo non è un’attività economica ma un mito identitario, in Svizzera come altrove. Il Bergbauern-mythos. Nei filmetti e nei cartoon di Heidi non si vedono lupi. Certo che no: le vere Heidi del buon tempo andato li avevano fatti fuori tutti, veleno, tagliole, pallettoni.

Queste mie constatazioni verrebbero confutate con l’argomentazione che l’alpeggio tutela il territorio e la “natura”.  Non è così semplice. Ci sono situazioni nelle quali la pratica ormai secolare dell’alpeggio estensivo ha creato paesaggi nei quali si sono stabilite biocenosi animali e vegetali che rappresentano un arricchimento per la biodiversità e sono d’accordo che vadano tutelate. Così come mi trovo d’accordo con la tutela delle razze ovine tradizionali spesso a rischio di estinzione.

Ma, in generale, se si stacca la spina dei sussidi all’alpeggio, i pascoli o parte di essi si coprirebbero di cespuglieti e alla lunga, fino ad una certa quota, tornerebbe il bosco. Tutto qui, è un dramma? Sta succedendo dovunque. I cambiamenti vanno governati non esorcizzati. Sarebbe una delle molte transizioni ecologiche che hanno caratterizzato e continueranno a caratterizzare l’ambiente e la storia umana, né la prima né l’ultima. Il cambiamento climatico sta già modificando la flora alpina e spingerà comunque più in alto il limite della vegetazione arborea. Tra l’altro, gli alberi stoccano carbonio per decenni, i pascoli molto meno e le pecore no (anzi, queste emettono pure metano gastroenterico, micidiale gas-serra).

Le montagne non sono più quelle del 1800 ma fare credere che lo siano è politicamente redditizio.  Nei due rami dell’attuale parlamento svizzero (Nazionale e Stati), su 246 rappresentanti gli esponenti del settore agricolo sono almeno 40[7]. Il 16%: una singolare sovra rappresentazione per un settore che (agricoltura, allevamento e sfruttamento forestale combinati) contribuisce appena per lo 0.6% al GDP nazionale. Sono concentrati a destra e perlopiù in un solo partito, fortemente arroccato nelle aree rurali a difesa dei miliardi di franchi di sussidi percepiti ogni anno da quel settore.

L’arbitrarietà e l’assenza di proporzionalità di vari aspetti dell’Ordinanza sono evidenti. Il coinvolgimento dei cacciatori per abbattere animali che (ironicamente) sono comunque ancora protetti è un vulnus etico se non giuridico. Certo, dopo la recente batosta elettorale dei Verdi i tempi non sembrano propizi per chiedere ad elettori ed elettrici che cosa ne pensano. In data 9 dicembre, si apprende che il cantone dei Grigioni ha dovuto sospendere improvvisamente gli abbattimenti a seguito di un esposto al Tribunale Amministrativo Federale da parte di organizzazioni ambientaliste. In attesa di capire come la cosa potrebbe evolvere dal punto di vista giuridico, le prospettive di un approccio politico più equilibrato alla questione-lupo rimangono molto remote. Intanto, per non perdere tempo, si uccide.

Nei soli primi 8 giorni dall’entrata in vigore dell’Ordinanza, il cantone del Vallese ha abbattuto già 10 lupi dei 34 che intende eliminare, quello dei Grigioni 8 su 44. Almeno un lupo è stato ucciso da un cacciatore senza accompagnamento di guardiacaccia (per l’eliminazione dei branchi si identifica un perimetro di tiro entro il quale, in pratica, i cacciatori abilitati possono tirare a tutto quello che si muove e assomiglia a un lupo; l’autopsia poi stabilirà se era il lupo giusto).

Il futuro del lupo, come di qualunque politica ambientale e climatica in Svizzera e altrove, è molto incerto. Nei prossimi mesi lo stesso dibattito interesserà il Parlamento Europeo.

[1] https://www.admin.ch/gov/it/pagina-iniziale/documentazione/comunicati-stampa.msg-id-98407.html

[2] https://www.watson.ch/schweiz/interview/607711696-andreas-moser-die-bergbevoelkerung-kennt-den-wolf-nicht-richtig.

[3] https://www.nau.ch/politik/bundeshaus/wolf-erste-abschuss-gesuche-aus-graubunden-wohl-schon-nachste-woche-66641971

[4] https://www.brusselstimes.com/822287/majority-of-rural-inhabitants-in-the-eu-want-stricter-protection-of-bears-lynxes-and-wolves

[5] https://www.gruppe-wolf.ch/Pressemitteilungen/Deutlich-weniger-Nutztierrisse-auf-Schweizer-Alpen.htm

[6] https://www.pronatura.ch/de/2019/lasst-uns-ueber-schafe-statt-woelfe-reden

[7] SVP wird zur Bauernpartei. Im Schweizer Parlament gewinnen die Bauern an Einfluss. Das ist eine schlechte Nachricht für die liberale Wirtschaftspolitik. Gülle gewinnt gegen Geld: Der Bauernflügel in der SVP wurde in den eidgenössischen Wahlen massiv gestärkt. Und jetzt? KOMMENTAR Erich Aschwanden 02.11.2023

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Questo blog nasce dall’incontro di tre persone emigrate volontariamente in età adulta dall’Italia in Svizzera e che in questo Paese hanno realizzato esperienze diverse in vari ambiti lavorativi e culturali. 

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